Lunedì scorso vi ho invitato a meditare sul grande tema della “presenza di Dio”. Stasera vi presento una riflessione davvero luminosa donataci dal santo che oggi la Chiesa ricorda: sant’Ambrogio. In realtà, sono molti i temi presenti nel commento del Vescovo di Milano: il rapporto tra la Grazia e la libertà, la vigilanza (argomento tipico dell’Avvento), il cielo. C’è anche un riferimento bellissimo al Cantico dei Cantici, un libro della Bibbia che è stato interpretato in vario modo, ma che a me pare prezioso per cogliere l’unione sponsale di ogni persona col Signore. Solo così è possibile avvicinarsi alla comprensione della grandezza del sacramento del matrimonio e, quindi, anche della sua indissolubilità.
«“La nostra patria è nei cieli” (Fil 3,20). Cieli sono coloro nei quali vi è la fede, la gravità, la continenza, la dottrina, una vita celeste. Infatti fu chiamato “terra” colui che rimase avvolto nei lacci della sua prevaricazione per essere decaduto col peccato dalla grazia celeste ed essersi immerso nei vizi terreni. Così, al contrario, chi con la custodia dell’integrità conduce una vita angelica, modera il suo corpo con la sobria continenza, placa il suo animo con tranquillità mite, e con liberale misericordia distribuisce ai poveri il suo denaro, costui è chiamato “cielo”. Vi è dunque anche sulla terra un cielo nel quale possono esservi virtù celesti. Il testo “il cielo è il mio trono” (Is 66,1) penso si possa interpretare per i sentimenti del giusto piuttosto che per un luogo. È cielo colui alla cui anima si accosta Cristo e bussa alla sua porta; se tu gli avrai aperto, egli entra.
E non entra da solo, ma con il Padre, come dice egli stesso: “Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Vedi dunque come il Verbo divino scuote chi è ozioso e sveglia i dormienti. Infatti se uno viene e picchia alla porta, è chiaro che vuole entrare. Ma dipende da noi se non sempre entra, se non sempre rimane. Che la sua porta sia aperta a colui che viene! Apri la tua porta: spalanca l’intimità della tua anima, perché egli veda le ricchezze della semplicità, i tesori della pace, la soavità della grazia. Dilata il tuo cuore, va’ incontro al sole dell’eterna luce che illumina ogni uomo. E in verità quel lume vero risplende per tutti. Ma se qualcuno avrà chiuso le sue finestre, si priverà da sé di quell’eterno splendore.
Se tu dunque chiudi la porta della tua anima, Cristo rimane fuori. Anche se nessuno può impedirgli di entrare non vuole precipitarsi dentro da importuno, non vuole costringere chi non vuole. Nato dalla Vergine, è uscito dal suo grembo risplendendo al mondo intero, perché tutti potessero essere illuminati. Ma lo ricevono coloro che desiderano i raggi del suo splendore eterno, che nessuna notte può offuscare. Infatti, mentre a questo sole che noi vediamo ogni giorno segue una notte tenebrosa, il sole di giustizia non conosce tramonto, perché alla sapienza non può succedere la malizia.
Beato colui alla cui porta batte Cristo! La nostra porta è la fede. Se essa è forte, difende tutta la casa. Per questa porta entra Cristo. Per questo la Chiesa dice nella Cantica: “È il mio diletto che bussa” (Ct 5,2). Senti come batte, senti come desidera entrare: “Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia” (ivi). Vi sono dei momenti in cui il Verbo divino bussa più che mai alla tua porta: è quando si degna di visitare quelli che si trovano nella prova e nelle tentazioni, perché, vinti dall’angoscia, non finiscano per soccombere.
Ma se tu dormi e il tuo cuore non veglia, egli se ne va senza neanche bussare. Se invece il tuo cuore veglia, egli bussa e ti chiede di aprirgli la porta. Aprigli dunque, perché vuole entrare e vuol trovare la sposa vigilante» (S. AMBROGIO, Commento sul Salmo 118. Discorso 12, 12-15).