Stasera vi porgo un commento alla parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13). Non è facile capire cos’è l’olio, cos’è la lampada, perché la luce è così importante. L’autore di questo commento non è un esegeta, un teologo, ma proprio la donna di cui oggi celebriamo la festa e di cui vi ho parlato dodici giorni fa. Vengono trattati molti temi. Consiglio a ognuno di meditare a lungo e con calma queste parole (il linguaggio è del XIV secolo, quindi vi chiedo un po’ di pazienza). Vi lascio qualche piccolo interrogativo: sono consapevole del fatto che Gesù chiama ognuno di noi a un rapporto sponsale con Lui? Cosa comporta questa chiamata? Se sono genitore, educo i miei figli tenendo presente tutto ciò? Tale sponsalità ha una qualche incidenza sul mio modo di intendere il rapporto uomo-donna?
«Se vuoi essere vera sposa di Cristo ti conviene avere la lampada, l’olio e il lume […]. Con la lampada s’intende il cuore che deve assomigliare a una lampada. Tu vedi bene che la lampada è larga di sopra e disotto è stretta: e così è fatto il nostro cuore, per significare che dobbiamo averlo sempre largo di sopra, mediante i santi pensieri, le sante immaginazioni e la continua orazione […]. Così pure il nostro cuore deve essere stretto verso queste cose terrene, non desiderandole né amandole disordinatamente, né appetendone in maggiore quantità di quanto Dio ce ne voglia dare; ma dobbiamo ringraziarlo sempre, ammirando come dolcemente egli ci provvede, sicché non ci manca mai nulla […].
E tuttavia fa’ in modo che la lampada sia tenuta bene diritta: infatti, quando la mano del santo timore tiene la lampada del cuore diritta e ben colma di olio essa sta bene; ma quando si trova in mano al timore servile, questo la capovolge sottosopra e la spinge a servire e ad amare per proprio diletto e non per amore di Dio. Rivoltando la lampada ne affoga la fiamma e ne versa l’olio; Sicché il cuore rimane privo dell’olio della vera umiltà […]. Ma pensa […] che non basterebbe la lampada se non ci fosse l’olio dentro. E per l’olio si intende quella dolce virtù piccola della profonda umiltà. Conviene infatti che la sposa di Cristo sia umile e mansueta e paziente; e tanto sarà umile quanto paziente, e tanto paziente quanto umile. Ma a questa virtù dell’umiltà non potremo venire se non con una vera conoscenza di noi medesimi, cioè conoscendo la miseria e fragilità nostra […].
Occorre infine che la lampada sia accesa e vi arda la fiamma: altrimenti non basterebbe a farci vedere. Questa fiamma è il lume della santissima fede. Dico la fede viva perché dicono i santi che la fede senza le opere è morta. Perciò è necessario che ci esercitiamo continuamente nelle virtù abbandonando le nostre fanciullaggini e vanità…: in questo modo avremo la lampada e l’olio e la fiamma (SANTA CATERINA DA SIENA, Lettere 23, 79 passim, in V. MENCONI, S. Caterina da Siena e i pastori della Chiesa, Roma 1987, pp. 146-148).