Pensiero serale del 29-03-2024

Grazie a padre Cantalamessa stiamo meditando sull’Eucaristia in stretto collegamento col mistero pasquale. Proprio oggi, ormai alla fine di questa giornata così importante, siamo aiutati a vedere come il cibarci dell’Eucaristia può e deve aiutarci a vivere in intima comunione col Cristo Crocifisso le nostre piccole e grandi croci quotidiane, soprattutto nei rapporti con i nostri fratelli sia nella Chiesa sia nella famiglia. 

Vi ricordo che i destinatari di questa riflessione di padre Cantalamessa sono i collaboratori del Papa nella Curia Romana, ma a me sembra che ci siano spunti utilissimi per ognuno.

 

«Una massima spesso ripetuta nelle nostre comunità religiose dice “Vita communis mortificatio maxima”: “vivere in comunità è la più grande di tutte le mortificazioni”. Non solo la più grande, ma anche la più utile e più meritoria di tante altre mortificazioni di propria scelta. Questa massima non si applica solo a chi vive in comunità religiose, ma in ogni convivenza umana. Dove essa si realizza nel modo più esigente è, a mio parere, il matrimonio, e bisogna essere pieni di ammirazione davanti a un matrimonio portato avanti con fedeltà fino alla morte. Passare la vita intera, giorno e notte, facendo i conti con la volontà, il carattere, la sensibilità e le idiosincrasie di un’altra persona, specialmente in una società come la nostra, è qualcosa di grande e, se fatto con spirito di fede, andrebbe già qualificato come “virtù eroica”.

Noi, però, ci troviamo qui nel contesto della Curia che non è una comunità religiosa o matrimoniale, ma di servizio e di lavoro ecclesiale. Le occasioni da non sciupare, se vogliamo essere anche noi macinati per diventare farina di Dio, sono tante, e ognuno deve identificare e santificare quella che gli si offre nel suo posto di servizio. Ne nomino solo una o due che ritengo valide per tutti.

Una occasione è accettare di essere contraddetti, rinunciare a giustificarsi e volere aver sempre ragione, quando ciò non è richiesto dall’importanza della cosa. Un’altra è sopportare qualcuno, il cui carattere, modo di parlare o di fare ci dà sui nervi, e farlo senza irritarci interiormente, pensando, piuttosto, che anche noi siamo forse per qualcuno una tale persona. L’Apostolo esortava i fedeli di Colossi con queste parole: “Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro” (Col 3, 12-13). Ciò che è più difficile da “triturare” in noi non è la carne, ma lo spirito, cioè l’amor proprio e l’orgoglio, e questi piccoli esercizi servono magnificamente allo scopo!» (RANIERO CANTALAMESSA, “Io sono il pane della vita” Prima predica di Quaresima, 23 febbraio 2024).