Prima di approfondire ulteriormente il rapporto tra diritto ed etica, voglio tornare al Vangelo di domenica scorsa (cosa dare a Cesare e che cosa dare a Dio), ricordando il pensiero di papa Wojtyla. Ci tengo a ribadire la sua dottrina, perché ancora stamattina ho avuto la conferma di come il suo Magistero non sia semplicemente dimenticato, ma volutamente omesso a livello teologico e anche e soprattutto pastorale. Egli, intervenendo al III Convegno della Chiesa italiana, disse no alla confusione tra fede e politica, tra Chiesa e Stato:
«La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto, non esprime preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzionale o costituzionale, che sia rispettosa dell’autentica democrazia» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Chiesa italiana per la celebrazione del III convegno ecclesiale, Palermo, 23 novembre 1995).
Ma disse no anche alla separazione tra fede e politica:
«Ciò nulla ha a che fare con una diaspora culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace» (ibidem).
Undici anni prima aveva affermato:
Ai laici «spetta di promuovere, nelle attuali condizioni del mondo, l’indispensabile alleanza tra la scienza e la sapienza, tra la tecnica e l’etica, tra la storia e la fede, perché possa progressivamente attuarsi il disegno di Dio, e con esso raggiungersi il vero bene dell’uomo» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Consiglio della segreteria del Sinodo, 19 maggio1984)
Appena possibile, tornerò su questi temi.