Stasera continuo a proporvi le riflessioni del cardinale Martini sul re Davide. Egli ricorda la frase con cui comincia il Salmo 18: «Ti amo, Signore, mia forza». Sembra – afferma il biblista – che questo sia «il grande ritornello della sua vita, il suo segreto» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, p. 18).
In riferimento al Salmo 63 afferma anche:
«Non a caso ho detto che il Salmo 63 è molto interessante: esso mostra come tutta la storia di Davide è sorretta dalla ricerca, dal desiderio ardente di Dio. Uomo debole, peccatore, egli però anela fortemente a Dio e lo vuole più di ogni altra cosa. Ama le persone del suo villaggio, ama gli amici, ama le donne, ama le guerre, ma ama Dio al di sopra di tutto» (Ivi).
Poco dopo il Cardinale fa un riferimento proprio alla Prima Lettura della s Messa di oggi: «Propongo un passaggio di 2 Samuele 7 che è il grande capitolo scritto per compendiare in unità la storia di Davide. […] A noi interessano i versetti 8 e 9. Il re Davide vuole costruire un tempio e il profeta Natan è d’accordo. Nella notte, però, la parola del Signore fu rivolta a Natan che gliela riferisce, in obbedienza a Dio:
“Or dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Sono io che ti ho preso dai pascoli mentre seguivi le pecore, perché tu fossi il capo del mio popolo Israele. Io sono stato con te in tutte le imprese, ho soppresso davanti a te tutti i tuoi nemici. Io ti darò un nome eguale a quello dei più grandi della terra” (2 Sam 7, 8-9).
Tutta la storia di Davide è riassunta nell’iniziativa d’amore di Dio, che nel brano citato è ricordata dal Signore stesso: da pastore sconosciuto a personaggio importante.
Ora possiamo considerare le tre vocazioni:
– la prima vocazione è l’elezione divina;
– la seconda vocazione è dalle circostanze;
– la terza è la vocazione mediante l’assunzione di un rischio da parte dell’eletto.
Sono, per così dire, tre vie attraverso le quali si esprime l’amore divino.
1 – 1 Samuele 16, 1-13. Il racconto è tra i più noti.
Samuele ha l’ordine di andare, di fare un sacrificio e di cercare, tra i figli di Jesse, il re che il Signore si è scelto. La descrizione, molto bella dal punto di vista letterario, mostra Samuele che fa passare l’uno dopo l’altro i figli di Jesse davanti a sé. Ma il Signore continua ad avvertire il profeta che non è quello il designato, fino a che si manda a chiamare il figlio più piccolo che sta pascolando il gregge. Quando giunge davanti a Samuele il Signore dice: “Alzati e ungilo: è lui!” (v. 12).
Non c’è alcun merito nel giovane, non c’è predisposizione alcuna. Anzi, ciò che poteva essere attitudine umana viene scartata, come leggiamo al v. 6 a proposito di Eliab: “Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato”. Eliab, il maggiore, era alto, molto forte, anche presuntuoso. Infatti quando, al cap. 17 Davide vorrà assumersi il rischio di accettare la sfida di Golia, verrà da lui ammonito: “Lo sentì Eliab, suo fratello maggiore, mentre parlava con gli uomini, ed Eliab si irritò con Davide e gli disse: ‘Ma perché sei venuto giù e a chi hai lasciato quelle poche pecore nel deserto? lo conosco la tua boria e la malizia del tuo cuore: tu sei venuto per vedere la battaglia” (v. 28), mentre io sono qui a fare il mio lavoro, il mio servizio alla patria.
Comprendiamo meglio perché il Signore rifiuti Eliab. Ma poi rifiuta anche gli altri fratelli, fino a che giunge il più piccolo, “fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto” (11. 12). La descrizione sottolinea che non è adatto ad essere re. Saul fu eletto perché “superava dalle spalle in su” tutti gli uomini di Israele (cf 1 Sam 9, 2). Il re, allora, era soprattutto il capo guerriero. Davide, quindi, fulvo e di gentile aspetto, non può diventare uomo d’armi e andare in guerra; non può essere messo a capo del popolo, non ha lo sguardo di fuoco, non è un dominatore.
È un buon amico, un semplice, ma è amato dal Signore: “Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò con l’unzione in mezzo ai suoi fratelli, e lo Spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi” (v. 13).
C’è una assonanza con la Lettera ai Romani: “L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato” (Rm 5, 5).
La prima componente della vocazione è la pura benevolenza di Dio.
In realtà, questo racconto non verrà più ricordato in seguito. Esso rimane il segreto di Dio, il suo disegno che pone lo Spirito su di lui» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, pp. 19-21).
Credo che siano molto importanti queste riflessioni. Molto spesso c’è quasi il panico dinanzi alla parola “vocazione”, quasi che sia sinonimo del non potersi sposare (per un genitore il timore di …non diventare nonno!). Invece, il vero significato di ogni vocazione è l’Amore immenso del Signore per ogni uomo. Auguro a ognuno di immergersi sempre di più in tale Amore. Solo così si trova la felicità, perché solo così è possibile vivere in pienezza: “Cammino non facile, difficile, ma felice” direbbe san Paolo VI.