Stasera vi spedisco la seconda parte del commento di padre Cantalamessa al Vangelo di ieri. È una grande esaltazione della fede e della preghiera. Auguro a me e a voi di progredire in questa fiducia totale nel Signore e in sua Madre. Sono sicuro che questo darà pace ai nostri cuori.
«A nessuno è impossibile credere perché Dio ci ha creati liberi e intelligenti, proprio per renderci possibile l’atto di fede in lui. […] Se la fede è la chiave di tutto, bisogna che cerchiamo di capire di che tipo di fede si tratta. La fede ha diverse facce: c’è la fede-assenso dell’intelletto, la fede-fiducia. Nel nostro caso, si tratta di una fede-appropriazione. Di un atto, cioè, per cui uno si appropria, quasi di prepotenza, di una cosa. San Bernardo usa addirittura il verbo usurpare: “Io, quello che mi manca lo usurpo dal costato di Cristo!”. Con essa ci si “impossessa” del regno di Dio, prima ancora di averlo meritato, con un atto di (libero) arbitrio!
Il poeta francese Charles Péguy descrive, in una sua opera, il più grande atto di fede della sua vita. Lo fa in terza persona, come se si trattasse di un altro, ma sappiamo con certezza che si tratta di lui stesso. “Un uomo, dice, aveva tre figli e un brutto giorno essi si ammalarono. Sua moglie era così impaurita che aveva lo sguardo fisso al di dentro e la fronte sbarrata e non diceva più una parola. Come una bestia ferita. Ma lui no; lui era un uomo; non aveva paura di parlare. Aveva capito che le cose non potevano andare avanti così. Allora aveva fatto un colpo di audacia. Al ripensarci, si ammirava anche un po’ e bisogna dire che era stato davvero un colpo ardito. Come si prendono tre bambini da terra e si mettono tutti e tre insieme, contemporaneamente, quasi per gioco, nelle braccia della loro madre, o della loro nutrice, che ride e fa finta di arrabbiarsi, dicendo che sono troppi e li farà cadere, così lui aveva preso i suoi tre bambini nella malattia e tranquillamente li aveva messi (s’intende, con la preghiera) nelle braccia di colei che è carica di tutti i dolori del mondo, la Santa Vergine. ‘Vedi, diceva, te li do e mi volto e scappo, perché tu non me li renda. Non li voglio più, lo vedi bene, ci devi pensare tu!’. Come si applaudiva di aver avuto il coraggio di fare quel colpo! Da quel giorno, tutto andava bene, naturalmente, poiché era la Santa Vergine a occuparsene. È perfino curioso che non tutti i cristiani facciano altrettanto. È così semplice, ma non si pensa mai a ciò che è semplice. Insomma, si è sciocchi, tanto vale dirlo subito”.
In che cosa era consistito, fuori metafora, il suo colpo di audacia? Aveva fatto un pellegrinaggio a piedi da Parigi a Chartres e aveva affidato alla Madonna i suoi tre bambini malati, che dal quel giorno cominciarono a stare meglio e presto guarirono. Uno dei figli, dopo la sua morte, ha rivelato questo retroscena familiare. Nella cattedrale di Chartres esiste una lapide che commemora il fatto e, in ricordo di esso, ogni anno gli studenti organizzano un pellegrinaggio a piedi da Parigi a Chartres.
Non sempre questo si avvera sul piano fisico; non sempre, cioè, basta affidare alla Vergine i propri bambini malati ed essi guariscono. Ma non è per questo che ci interessa la storia. Ci interessa per quella possibilità che fa intravedere di fare nella vita un “colpo di audacia”, un colpo risolutivo. “Convertirsi e credere” significa, infatti, fare propriamente questo: realizzare una sorta di colpo di mano. La fede ci permette di fare un colpo di mano a spese di Dio. Con essa, prima ancora di aver faticato e acquistato meriti, noi conseguiamo la salvezza, ci impossessiamo addirittura di un “regno”. Ma è Dio stesso che ci invita a farlo; lui ama subire questi colpi di mano, ed è il primo a stupirsi che “così pochi lo facciano”. “Il regno di Dio soffre (volentieri) violenza e i risoluti se ne impadroniscono”: così pare che si debba intendere un celebre detto di Cristo (cfr. Mt 11, 12).
Quell’uomo aveva dei bambini malati. Ma, a pensarci bene, ognuno di noi ha dei “figli” malati in casa: situazioni pesanti che vorremmo cambiare e non ci riusciamo, errori commessi nel passato, peccati. Noi possiamo andare davanti a un crocifisso, gettare, con un atto di fede, tutte queste cose tra le sue braccia e dire: “Tu hai preso su di te i peccati del mondo: prendi anche i miei e distruggili! Lo vedi bene che non li voglio più indietro. Mi volto e scappo; ci devi pensare tu!”. E andarcene via allegri, sicuri di poter ricominciare da capo nella vita.
“Convertitevi!”, non è una minaccia, una cosa che rende tristi e costringe ad andare a testa china e perciò da ritardare il più possibile. Al contrario, è un’offerta incredibile, un invito alla libertà e alla gioia. È la “buona notizia” di Gesù agli uomini di tutti i tempi.
(RANIERO CANTALAMESSA, Gettate le reti. Riflessioni sui Vangeli. Anno B, Piemme, Casale Monferrato, 2002, pp. 176-179).
Mi hanno colpito molto due frasi: «ognuno di noi ha dei “figli” malati in casa: situazioni pesanti che vorremmo cambiare e non ci riusciamo, errori commessi nel passato, peccati». E poi è molto bello intendere l’invito alla conversione come un’offerta di gioia e di libertà.