Pensiero serale del 21-11-2023

bibbia

Stasera vi presento il commento di padre Cantalamessa alla Prima Lettura di domenica scorsa (Libro dei Proverbi, cap. 31). La sua riflessione è datata (risale quasi a 25 anni fa), ma la sua spiritualità e la sua saggezza sono sempre preziose, soprattutto in questo periodo, in cui anche dinanzi alle tragedie l’uomo e la donna, essendo al buio (e privi di vere guide) soffrono, gridano, fanno rumore, protestano, ma sono lontani dall’individuare l’unica soluzione. Se l’uomo e la donna (non solo l’uomo!) spesso non sanno amare, o ci facciamo redimere dall’Amore, che è Dio, oppure non troveremo alcuna soluzione. Il commento di padre Cantalamessa è piuttosto lungo. Perciò lo divido in due parti, che ovviamente sono strettamente connesse.

«La prima lettura di questa Domenica contiene un celebre elogio della donna che bisogna ascoltare almeno in parte. Dice:
“Una donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Essa gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare”.
Questo elogio, così bello, ha un difetto, che non dipende ovviamente dalla Bibbia ma dall’epoca in cui fu scritto e dalla cultura che essa riflette. Se ci si fa caso, si scopre che questo elogio della donna è interamente in funzione dell’uomo. La sua conclusione è: beato l’uomo che possiede una tale donna. Essa gli tesse bei vestiti, fa onore alla sua casa, gli permette di camminare a testa alta tra gli amici. Non credo che le donne sarebbero oggi entusiaste di questo elogio.
Per conoscere il vero e definitivo pensiero della Bibbia sulla donna bisogna guardare all’atteggiamento di Gesù. Gesù non era quello che oggi si direbbe un “femminista”; non ha fatto mai un’analisi o una critica esplicita delle istituzioni e dei rapporti tra le classi o tra i sessi. La sua missione si colloca su piano dove la differenza tra maschio e femmina non ha alcun peso. Entrambi immagini di Dio, entrambi bisognosi di redenzione.
Ma proprio per questo Gesù è in grado di mettere a nudo le deformazioni che hanno portato alla situazione attuale di soggezione della donna nei confronti dell’uomo. Egli è libero di fronte alla donna. A differenza di tutti gli altri, egli non la sperimenta come un’insidia e una minaccia e questo gli permette di rompere tanti pregiudizi. Non disdegna di parlare con donne, di insegnare loro, di farsi discepole tra di esse. Risorto, si mostra per primo ad alcune donne che diventano così le sue prime testimoni. Mai esce dalla sua bocca una parola di disprezzo o di ironia per la donna, ciò che era una specie di luogo comune nella cultura del tempo intrisa di misoginismo, come del resto è anche oggi.
La salute della donna è importante per Gesù quanto quella dell’uomo. Perciò tanti dei suoi miracoli hanno per oggetto delle donne. C’è in particolare un miracolo di Gesù che mi commuove: la guarigione della donna ricurva. Si legge che un giorno Gesù vide una donna che da diciotto anni “era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo”. Gesù dunque la chiamò a sé e le disse: “Donna, sei libera dalla tua infermità”. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio (cfr. Lc 13, 10 ss.).
Quella donna curva a cui Gesù grida: “Sei libera!” e che, dopo tanto tempo, può alzare il capo, guardare le persone in volto, vedere il cielo, glorificare Dio, sentirsi anche lei una persona umana, mi sembra un simbolo potente. Non è solo una donna; è la condizione femminile che è rappresentata al vivo in quella scena; è la schiera innumerevole di donne che camminano curve non per qualche malattia della spina dorsale, ma per l’oppressione cui sono state sottoposte in quasi tutte le culture.
Quale liberazione, quale speranza è racchiusa in quel grido di Gesù: “Donna, sei libera!”. Uno dei fatti più positivi della nostra epoca è proprio la giusta emancipazione delle donne e la parità dei diritti. Nell’enciclica sulla dignità della donna (“Mulieris dignitatem”), il papa Giovanni Paolo II ha messo in luce il contributo che la Chiesa intende dare a questo segno dei tempi. Ma possiamo dire che l’era delle donne “ricurve” è finita? Io credo che, a certi livelli, la liberazione principale della donna debba ancora avvenire. Mi riferisco a un aspetto particolare della condizione femminile che chiamerei: lo spirito di schiavitù.
Parlo specialmente alle donne di certe aree culturali, dove questo spirito di schiavitù è ancora forte e la liberazione della donna deve ancora iniziare. Donne che dopo la breve alba della loro giovinezza, quando il mondo si dischiudeva e tutti sembravano rapiti di fronte alla loro giovinezza e gentilezza, una volta diventate mogli e madri, sono ridotte a schiave: schiave dei mariti, schiave dei figli, del lavoro; senza gioia, senza bellezza, vestite quasi permanentemente di nero, (c’è sempre, si sa, qualche lutto da portare in famiglia). Ci sono, è vero, casi dove la situazione è rovesciata ed è il marito che soffre a causa della moglie, ma questa volta occupiamoci del caso più frequente.
Mi direte: “Ma tu stai predicando contro il vangelo! Il Vangelo non parla di rinuncia di sé, di mortificazione, di abnegazione? Non è questo un valore evangelico?” Rispondo: non in questa forma, non questo tipo di mortificazione! Questo tipo di schiavitù non fa vivere, impedisce di gioire e dare gioia; impedisce anche di soffrire liberamente. Impoverisce la vita di famiglia; toglie qualcosa di importante ai figli. Il risanamento della famiglia deve cominciare anche da qui. A una moglie schiava in casa, corrisponde spesso un’amante fuori casa…
“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi”. Se dopo c’è da soffrire e da rinnegarsi -per i figli, per il marito, per i suoceri- lo farete, ma lo farete con gioia, con libertà interiore. Questa libertà di cui stiamo parlando rende infatti liberi proprio per servire, non certo per fare il comodo proprio: “Voi infatti siete stati chiamati a libertà…perché mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13)» (CANTALAMESSA RANIERO, Gettate le reti. Riflessioni sui Vangeli. Anno A, Piemme, Casale Monferrato, 2002, pp. 330-332).

In sintesi, penso che la soluzione vada trovata nell’incontro con Gesù, nella vera conversione, nel comprendere il vero senso della corporeità, dell’affettività e della sessualità, nel capire che libertà, responsabilità e servizio sono legati in modo indissolubile. Senza sobrietà, temperanza (pensiamo all’uso di droghe e alcool) e castità, non ci sarà un vero progresso nelle famiglie e nella società. La Chiesa ha questa missione. Ne siamo consapevoli?

 

Marcello De Maio