Sempre accompagnati da Martini continuiamo a progredire nell’analisi di questo Salmo. Come ho già evidenziato, egli distingue quattro movimenti e sottolinea i “tempi” (e io aggiungo anche i “modi”).
Ieri abbiamo visto due movimenti, cui corrispondono due tempi: il passato e il presente. Ora passiamo al terzo movimento, che è l’appello, caratterizzato dal modo imperativo. Mi ha sempre colpito moltissimo che una persona, dopo aver commesso peccati gravissimi, non solo ha il coraggio di rivolgersi a Dio, ma usa l’imperativo. Vedremo che Martini nota nei verbi all’imperativo tre diversi atteggiamenti dell’orante: la fiducia, il desiderio di purificazione e – forse l’aspetto più interessante – il senso della novità.
Ecco il testo dell’Arcivescovo di Milano.
«3 – L’appello è il tema che appare fin dall’inizio ed è continuamente ripreso. È una preghiera, una supplica, una invocazione di purificazione. I verbi sono all’imperativo:
“Pietà di me, o Dio, nella tua bontà, nella tua grande tenerezza cancella il mio peccato, lavami da tutta la mia malizia, purificami dalla mia colpa… Purificami con l’issopo… Lavami… Rendimi il senso della gioia e della festa… Distogli il tuo volto dai miei peccati… Crea per me un cuore puro, ristabilisci dentro di me uno spirito saldo”.
Questo appello è anzitutto pieno di fede. Il Salmo non è solo confessione delle proprie colpe ma, a partire dalla coscienza che se ne ha, diventa confidenza in Dio, espressa con ogni possibile metafora:
“Rendimi il senso della gioia e della festa, e danzino le ossa che tu hai spezzato!”.
Nell’espressione di questo desiderio, l’uomo si appoggia sulla misericordia di Dio ed è così misteriosamente ricostruito» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, pp. 81-82).
Voglio sottolineare due elementi.
Anzitutto il tema della relazione. Io dinanzi ai temi etici posso ignorarli (oggi nella Chiesa è …lo sport più diffuso) oppure affrontarli. Se li affronto, posso confrontarmi con la norma morale, con la mia coscienza e vedere dove ho sbagliato. Questo è il rischio di chi accentua in modo inopportuno l’importanza del Decalogo. Invece, tutto va sempre inteso all’interno della categoria della relazione. Basti pensare alla parabola del figliuol prodigo (cfr. Lc 15,11-32). Entrambi i figli, al di là degli errori che commettono, hanno un pessimo rapporto col padre (il minore corregge tale rapporto, il secondo no).
Il secondo tema è la speranza. Tratto di nuovo il tema dell’etica. Se io mi concentro sulle mie azioni, corro due rischi: o mi esalto o mi deprimo. O noto quante cose belle ho fatto (rischio della superbia; cfr. Lc 18,9-14) oppure mi soffermo sui miei tanti errori (rischio della disperazione). Se invece vivo tutto nell’ottica della relazione, faccio esperienza della speranza. Davide è un testimone di questa bellissima virtù, di cui sono espressione appunto i verbi all’imperativo.