Riprendo il cammino col cardinale Martini. Stasera ci soffermiamo sull’importanza della preghiera. È sottolineato il rapporto decisivo tra Spirito Santo e preghiera. Come sempre, teniamo presente che sono riflessioni rivolte a persone consacrate, ma sono sicuro che possono servire anche a noi. Martini evidenzia l’esperienza della fragilità e della debolezza. In modo davvero provvidenziale è lo stesso tema che stasera ho proposto ai miei parrocchiani e che comunque potete trovare sul sito (settore “Formazione” “Giovani adulti”).
«Scuola pratica di preghiera
Il terzo scopo del Ritiro è allora di esercitarsi in una scuola pratica di preghiera, di re-imparare a pregare.
Tutti noi abbiamo imparato, fin dagli anni del noviziato, a pregare, ma poi perdiamo l’abitudine, perdiamo il gusto.
C’è un passo della Lettera ai Romani, molto misterioso e importante. Ho chiesto delucidazioni a esegeti famosi e mi sono sempre sentito rispondere che è difficilissimo. Scrive san Paolo:
“Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza; perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare; ma lo Spirito stesso intercede per noi, con gemiti ineffabili, e Colui che scruta i cuori sa qual è il desiderio dello Spirito e che la sua intercessione per i santi corrisponde ai disegni di Dio” (Rm 8, 26-28).
Credo che le parole dell’apostolo ci possano aiutare a ricominciare il cammino della preghiera suggerendoci tre cose:
– la preghiera che si re-impara nel Ritiro annuale è anzitutto frutto dell’umiltà;
– è dono dello Spirito;
– è gioia del cuore.
1 – Quando abbiamo dimenticato l’esercizio della preghiera, rinasce in noi nel momento in cui confessiamo la nostra incapacità. Dice infatti san Paolo: “Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare”
È l’ammissione di un mistico, che sapeva pregare. Forse significa che non conosciamo quali siano i desideri da esprimere a Dio. In ogni caso, il confessarlo è il buon inizio per imparare di nuovo a pregare.
Ancora: “Lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza”. Noi siamo deboli, proprio come chi non ha salute; vorremmo pregare, ma non abbiamo la forza, il coraggio di perseverare. Vengono alla mente i pensieri delle cose da fare, delle ferite che si sono ricevute in comunità o dalla gente, l’amarezza che abbiamo nel cuore, e non troviamo il modo per incominciare a pregare. Si tratta di una debolezza che fa parte della fragilità umana. Non a caso, nel testo greco, il termine “asthéneia” è lo stesso usato dall’Apostolo quando dice: “Mentre eravamo peccatori (asthenès) Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rm 5, 6).
È la fragilità del nostro cuore pieno di lamenti, di giudizi sugli altri, di scontentezza; quando cominciamo a pregare, tutto questo bagaglio può risvegliarsi.
È dunque necessario rendersi conto che nell’intimo di ciascuno di noi c’è dell’impurità, pensieri che non sono secondo il cuore di Dio. Confessarlo è un buon inizio e vuol dire re-imparare a pregare facendo, come suggerisce s. Ignazio, un atto di profonda adorazione: Signore, non sono degno, non sono capace di pregare, sono come un nulla davanti a te. Signore, rischiara la mia lampada, sii tu la mia lampada, perché non è vero che io posso disporre della mia preghiera, perché è solo il tuo santo Spirito che sa che cosa significa pregare (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, pp. 39-40).