Le letture della s. Messa di questa III domenica di Avvento trattano alcuni temi bellissimi, tra cui la gioia (cfr. l’inizio della II Lettura), il compito del Messia, cioè liberare l’umanità (cfr. I Lettura) e la luce (cfr. il Vangelo). Ebbene questi temi, soprattutto la luce e la liberazione, sono presenti nell’ultima parte dell’omelia di papa Wojtyla che vi presento stasera (come conclusione di questo piccolo cammino iniziato giovedì scorso). Mi ha colpito molto il fatto che san Giovanni Paolo II cita esplicitamente il brano del profeta Isaia che la Chiesa ci presenta in questa domenica. Sempre più spesso avverto in modo chiaro che il Signore guida i nostri passi e illumina i nostri pensieri. Spero che ognuno dedichi un tempo prolungato e sereno alle parole di papa Wojtyla e soprattutto a quelle di san Giovanni della Croce. Mi auguro che ognuno di noi abbia idee sempre più chiare su cosa è davvero libertà (essa non è frutto di un orgoglioso sforzo umano di liberazione e conta il suo intimo rapporto col suo fine, che è unicamente la comunione con Dio). Sono di una importanza eccezionale le ultime due frasi di san Giovanni della Croce riportate da san Giovanni Paolo II: è difficile trovare nella letteratura mondiale pensieri così belli sull’amore. In fin dei conti, se questa domenica di Avvento è dedicata alla gioia, sappiamo bene che la gioia è raggiungibile solo se viviamo l’Amore, quello vero (cfr. At 20,35).
«Abbiamo ricordato nella lettura del Vangelo le parole del profeta Isaia, che Cristo fece sue: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19).
Anche il “santo Fraticello Giovanni” – come lo chiamava la madre Teresa – fu, come Cristo, un povero che evangelizzò con immensa gioia e amore i poveri; e la sua dottrina è come una spiegazione di quel vangelo della liberazione dalle schiavitù e oppressioni del peccato, della luminosità della fede che guarisce ogni cecità. Se la Chiesa lo venera come dottore mistico sin dall’anno 1926, è perché riconosce in lui il gran maestro della verità vivente riguardo a Dio e all’uomo.
La “Salita del Monte” e la “Notte oscura” culminano nella gioiosa libertà dei figli di Dio nella partecipazione alla vita di Dio e alla comunione con la vita trinitaria (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 39, 3-6). Soltanto Dio può liberare l’uomo; questi acquisisce totalmente dignità e libertà soltanto quando sperimenta in profondità, come san Giovanni della Croce indica, la grazia redentrice e trasformante di Cristo. La vera libertà dell’uomo è la comunione con Dio.
Il testo del libro della Sapienza ci avvertiva “Se tanto poterono sapere da scrutare l’universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?” (Sap 13, 19). Ecco una nobile sfida per l’uomo contemporaneo che ha esplorato le vie dell’universo. Ed ecco la risposta del mistico che dall’altura di Dio scopre l’orma del Creatore nelle sue creature e contempla in anticipo la liberazione della creazione (cf. Rm 8, 19-21).
Tutta la creazione, dice San Giovanni della Croce, è come bagnata dalla luce dell’Incarnazione e della Resurrezione: “In questo innalzamento della Incarnazione del suo Figlio e della gloria della sua Resurrezione secondo la carne non soltanto il Padre ha abbellito in parte le creature, ma possiamo dire che le ha completamente vestite di bellezza e dignità” (S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 39, 5.4). Il Dio che è “Bellezza” si riflette nelle sue creature.
In un abbraccio cosmico che in Cristo unisce il cielo e la terra, Giovanni della Croce ha potuto esprimere la pienezza della vita cristiana: “Non mi toglierai, Dio mio, quello che una volta mi donasti nel tuo unico figlio Gesù Cristo in cui mi hai dato tutto quello che voglio …Miei sono i cieli e mia è la terra; mie sono le genti; i giusti sono miei, e miei i peccatori; gli angeli sono miei, e la Madre di Dio e tutte le cose sono mie, e lo stesso Dio è mio ed è per me, perché Cristo è mio e tutto per me” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 29-31).
Fratelli e sorelle: ho voluto con queste mie parole rendere un omaggio di gratitudine a San Giovanni della Croce, teologo e mistico, poeta e artista, “uomo celestiale e divino” – come lo ha chiamato Santa Teresa di Gesù – amico dei poveri e saggio direttore spirituale delle anime. Egli è padre e maestro spirituale di tutto il Carmelo Teresiano, il plasmatore di quella fede viva che brilla nei figli più illustri del Carmelo: Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Raffaele Kalinowski, Edith Stein.
Chiedo alle figlie di Giovanni della Croce, le carmelitane scalze, che sappiano vivere l’essenza contemplativa di quell’amore puro che è eminentemente fecondo per la Chiesa (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 29, 2-3). Raccomando ai suoi figli, i carmelitani scalzi, fedeli custodi di questo convento e animatori del Centro di Spiritualità dedicato al Santo, la fedeltà alla sua dottrina e la dedizione alla direzione spirituale delle anime, così come allo studio e approfondimento della teologia spirituale.
Per tutti i figli di Spagna e di questa nobile terra segoviana, come garanzia di rigenerazione ecclesiale, lascio queste magnifiche consegne di san Giovanni della Croce universalmente valide: intelligenza perspicace per vivere la fede: “Un pensiero dell’uomo vale più di tutto il mondo; pertanto solo Dio è degno di esso” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 32).
Volontà impavida per esercitare la carità: “Dove non c’è amore, metti amore ed otterrai amore” (S. Giovanni della Croce, Lettera 25, a Maria dell’Incarnazione). Una fede solida e confortante, che muova costantemente ad amare veramente Dio e l’uomo; perché alla fine della vita, “quando giungerà la sera sarai giudicato sull’amore” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 64)» (GIOVANNI PAOLO II, Omelia, Segovia, 4 novembre 1982).
MARCELLO DE MAIO