Vi spedisco il commento di don Fabio Rosini alle letture di questa domenica.
«V domenica di Quaresima
Gv 12,20-33
Il capitolo 12 conclude la prima parte del Vangelo secondo Giovanni; il capitolo successivo narra l’ultima cena, cui seguirà la passione. In questo testo vediamo l’apice del successo del ministero pubblico di Gesù, quando Andrea e Filippo debbono informare il Signore che ci sono addirittura dei Greci che chiedono di lui.
Vogliono vedere Gesù, incontrarlo, conoscerlo. Cosa cercano? Un famoso personaggio, un operatore di prodigi, forse il Messia, comunque qualcuno di importante, glorioso, trionfante.
Non troveranno niente di tutto questo, anche se Lui annunzia che è proprio questo il momento della sua glorificazione.
La parola “gloria”, in ebraico, indica la sostanza di una cosa, il suo peso specifico, il suo autentico valore più che la manifestazione di un suo qualsiasi splendore. Conoscere la gloria di Dio non vuol dire vedere uno spettacolo ma aver conosciuto la sua potenza in atto, aver sperimentato chi Lui è.
Gesù proclama solennemente che è il momento della glorificazione, ma la sua gloria è quella di un chicco di grano che muore. Che trionfo è quello di un seme che marcisce? Generare la vita. Strana gloria: quella che procura vita agli altri, ma perde la propria. È sempre uno shock per la nostra mentalità riflettere sul fatto che Dio non sceglie la via della vittoria, o la potenza ostentata, o l’autoaffermazione.
L’immagine del chicco di grano è notevole. Deve prima subire un processo di decadenza, che prende il nome di marcescenza. Viene divorato da agenti esterni, che però permettono la sua maturazione. Il processo che sembrava distruggerlo gli consente invece di essere se stesso: un seme, ossia qualcosa che fondamentalmente fa iniziare la vita.
La vita ha origine nel donarsi. Spesso, quando ci troviamo di fronte ai problemi, pensiamo che la soluzione consista nell’avere sicurezza, proprietà, forza. Ma la vera soluzione è perdere se stessi in Dio. Non serve una grande dotazione o una grande forza, ma si tratta di saper lasciare la presa di quel poco o tanto che siamo – o che crediamo di essere.
“Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Ma quante vite esistono? La vita di questo mondo, per quanto possiamo difenderla o curarla, comunque la perderemo. Poco ma sicuro. La domanda è: ne esiste veramente un’altra? Se esiste solo questa, è ovvio finire per scadere nel farsi i fatti propri o nella mediocrità. Ma se la nostra vita è solo il preludio della vita autentica, allora è un altro paio di maniche.
Due fidanzati si sposano per regalarsi tutto quel che sono, e darsi la vita che hanno uno per l’altra; è normale sperare di aver intavolato almeno qualche amicizia vera, autentica, in cui ci si voglia bene fino alla morte. Per un figlio si dà la vita. C’è qualcosa di più grosso della vita di questo mondo, e chiunque voglia amare, più o meno consapevolmente, punta a questo qualcosa. È la vita che va oltre il nulla. La vita di Cristo. Vale la pena di seguirlo, se uno vuole la sua gloria» (FABIO ROSINI, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 83-85).
Voglio precisare che sono convinto che ci sono atei che sono molto generosi (pur pensando che c’è solo la “vita di questo mondo”) e resteranno sorpresi grazie a Mt 25,31-46. Invece, ci sono cattolici che, pur pensando che c’è la vita dopo la morte (la vita eterna nel senso più alto e completo), impostano fidanzamento e matrimonio (carriera, tempo libero, uso del denaro, sessualità, procreazione ed educazione dei figli…) in modo del tutto “borghese”, cioè egoistico, materialistico, senza morire a se stessi per il vero bene della famiglia e per la gloria di Dio. Intendo dire che non basta scegliere l’Ordine sacro o il Matrimonio sacramento, ma è molto più importante fare giorno per giorno scelte concrete in vero stile evangelico, altrimenti smentiamo con i fatti ciò che affermiamo con la bocca e andando in chiesa. In ultima analisi, conta la vera testimonianza. Direbbe una persona, che ho conosciuto da poco: più che credenti, dobbiamo essere credibili.