Stasera, sempre col cardinale Martini, ci soffermiamo sul secondo scopo degli Esercizi (ne abbiamo parlato martedì scorso). Il termine che egli usa (“devozione”) era molto caro a san Francesco di Sales e ovviamente va ben interpretato. A un certo punto c’è un riferimento al “rischio” (di cui abbiamo parlato già lunedì scorso).
La devozione è molto collegata con la preghiera, con la carità e perciò ha un ruolo decisivo lo Spirito Santo. Spero che siano sufficienti questi pochi cenni perché intuiate la notevole importanza di questo tema per la vita spirituale di ciascuno.
«Cultura della devozione
C’è un secondo scopo, più specifico, del Ritiro annuale, e lo esprimo con le parole di un grande padre spirituale, il padre Michel Ledrus, professore a suo tempo di teologia spirituale all’Università Gregoriana di Roma. Egli usava sempre la seguente formula: «Gli Esercizi annuali sono la cultura della devozione».
Nel vocabolario classico, la devozione è la vivacità, la freschezza, la prontezza nel servire a Dio volentieri, di cuore, con amabilità, con gioia e con coraggio. È dunque un’attitudine importantissima, il fiore più bello della vita spirituale.
Talora conosciamo persone che vivono la propria vocazione con noia, con tristezza, mentre la vita secondo lo Spirito richiede letizia ed entusiasmo.
Devozione vuol dire abbracciare di buon grado il sacrificio quotidiano, le frustrazioni della giornata, del nostro impegno apostolico, le aridità della preghiera e del cuore. Per questo non può che essere un dono di Dio.
Possiamo compiere il nostro dovere bene, possiamo obbedire a Dio, senza la devozione, senza la luce.
“O Dio, tu sei la mia lampada”: la devozione è l’illuminazione divina nella vita.
Spesso noi crediamo che essendo ormai passati per diverse esperienze, ciò che conta è fare ogni cosa bene e basta. Questo è vero, ma non è in realtà possibile operare bene soprattutto verso gli altri se manca il sorriso dell’anima, l’amabilità, la cordialità.
La devozione è un altro aspetto del rischio di cui abbiamo parlato. Rischiare, ad esempio, di affrontare le situazioni o le persone difficili, dicendo: Ti ringrazio, Signore, perché c’è una complicazione! Oppure: Ti ringrazio perché da tanto tempo non incontravo difficoltà.
Sembra strano, ma è questa la forza della vita spirituale. Quando sono di buon umore e viene qualche prete scusandosi di espormi le sue difficoltà perché – aggiunge – “lei ne ha già tante”, rispondo: Ma no, anzi la ringrazio perché sono qui proprio per avere delle difficoltà!
Come vedete, non è facile esprimere pienamente che cosa sia la devozione. Tuttavia dobbiamo coltivarla, dal momento che non viene da sé, ma viene dal Signore.
Da sé vengono la fatica, la frustrazione, la stanchezza, il nervosismo, gli esaurimenti.
Sono, al contrario, doni di Dio la facilità, la gioia, la capacità di semplificare.
Forse la devozione è proprio la capacità di semplificare i problemi complicati.
Per coltivarla, per preparare il nostro terreno al dono della devozione, è necessario un lungo tempo di preghiera, l’ascolto calmo della Parola e la meditazione prolungata della Bibbia.
È dalla preghiera prolungata sulla Scrittura, infatti, che zampilla lo Spirito santo come acqua sorgiva per l’anima.
Perseverare in questa preghiera, offrire gratuitamente a Dio il proprio tempo di preghiera, sprecarlo, nella certezza che prima o poi saremo irrorati nella nostra aridità dalla rugiada mattutina dello Spirito santo. Tutto questo è coltivare la devozione, e non c’è luogo più propizio del Ritiro annuale» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, p. 37-39).
Credo che sia bene meditare sulla frase seguente: “Possiamo compiere il nostro dovere bene, possiamo obbedire a Dio, senza la devozione, senza la luce”.