Stasera e domani ritengo opportuno soffermarmi sul commento di padre Cantalamessa alla Seconda Lettura di ieri.
«Fratelli, il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6,13-15.17-20)
Penso che sia bene riflettere sul tema della purezza sia per la crescita personale di ogni persona sia per chi ha compiti educativi (in famiglia, in parrocchia, a scuola). Sono riflessioni di oltre venti anni fa. Infatti, il teologo cappuccino si riferisce all’alluvione di Sarno del maggio 1998, ma da allora la situazione è notevolmente peggiorata. Domani vi presenterò la seconda parte
«Parlare di purezza nel mondo d’oggi, con tutto quello che ogni giorno vediamo e sentiamo, può sembrare una battaglia persa in partenza. Ma è proprio a questa mentalità rinunciataria e rassegnata al male che il Vangelo ci spinge a reagire. Forse Gesù ci conosce meglio di noi e sa che c’è nel fondo del cuore umano, specie proprio dei giovani, un segreto anelito, una nostalgia di purezza che nessun fango può ricoprire del tutto. “La castità -diceva il poeta Tagore- è una ricchezza che viene da abbondanza di amore, non da mancanza di esso”.
Forse chi è in grado di capire meglio il discorso sulla purezza sono proprio i veri innamorati. Il sesso diventa “impuro” quando riduce l’altro (o il proprio corpo) a oggetto, a cosa, ma questo è ciò che anche un vero amore rifiuterà di fare. Molti degli eccessi in atto in questo campo hanno qualcosa di artificiale, sono dovuti a imposizione esterna dettata da ragioni commerciali e di consumo. Non sono affatto, come si vuole far credere, “evoluzione spontanea dei costumi”.
Una delle scuse che più contribuiscono a favorire il peccato di impurità nella mentalità comune e a scaricarlo di ogni responsabilità è che, tanto, esso non fa del male ad alcuno, non viola i diritti e la libertà degli altri, eccetto, si dice, che si tratti di stupro o di violenza. Ma non è vero che il peccato di impurità finisce con chi lo commette. Ogni abuso, dovunque e da chiunque venga commesso, inquina l’ambiente morale dell’uomo, produce un’erosione dei valori e crea quella che Paolo definisce “la legge del peccato” e di cui illustra il terribile potere di trascinare gli uomini in rovina (cfr. Rm 7, 14 ss). La prima vittima di tutto ciò è la famiglia.
Nel Talmud ebraico si legge un apologo che illustra bene la solidarietà che c’è nel male e il danno che ogni peccato, anche personale, reca alla società: “Alcune persone si trovavano a bordo di una barca. Una di esse prese un trapano e cominciò a fare un buco sotto di sé. Gli altri passeggeri, vedendo, gli dissero inorriditi: — Che fai? — Egli rispose: Che cosa importa a voi? Sto facendo il buco sotto il mio sedile, mica sotto il vostro!” —Sì, replicarono gli altri, ma l’acqua entrerà e ci annegherà tutti!”.
Fenomeni tanto deprecati, come lo sfruttamento dei minori, lo stupro e la pedofilia, non nascono dal nulla. Sono, almeno in parte, il risultato del clima di esasperata eccitazione in cui viviamo e nel quale i più fragili soccombono. Non era facile, una volta che si era messa in moto, fermare la valanga di fango che tempo addietro si abbatté su alcuni paesi della Campania, distruggendoli. Bisognava evitare il disboscamento e altri guasti ambientali che hanno reso inevitabile lo smottamento. Lo stesso vale per certe tragedie a sfondo sessuale. Distrutte le difese naturali, esse divengono inevitabili. Io resto sempre sconcertato nel vedere certi mezzi di comunicazione sociale stracciarsi le vesti quando avvengono questi fatti, senza rendersi conto della parte di responsabilità che hanno anche loro per quello che dicono o mostrano in altre parti dello stesso giornale, o telegiornale» (CANTALAMESSA RANIERO, Gettate le reti. Riflessioni sui Vangeli. Anno B, Piemme, Casale Monferrato, 2002, pp. 170-172).
La mia piccola idea è che spesso noi Chiesa di questi temi non parliamo o li trattiamo, restando spesso confusi e divisi (cfr. quanto è accaduto il 18-12-2023 e le varie reazioni).