Continuiamo il racconto del peccato di Davide. A me sembra un rapido precipitare nell’abisso.
Ribadisco: sono eventi accaduti tremila anni fa, ma a me pare un cronaca o una tragedia dei nostri giorni. Il cuore umano ha sempre le stesse paure, i medesimi desideri… L’uomo è sempre tentato dalla doppiezza, dal cinismo, dall’egoismo…
Ecco il testo con cui Martini racconta e commenta l’evolversi della vicenda.
«Dapprima Davide pensa: Mi tirerò fuori dall’impiccio e farò di tutto per salvare la mia reputazione e la rispettabilità della donna; la situazione è brutta, ma me la caverò.
Sicuro di sé, “spedisce un messaggio a Joab: Mandami Uria, l’Hittita. E Joab inviò Uria a Davide. Quando giunse da lui, Davide gli chiese come stava Joab, la truppa e come andava la guerra” (vv. 6-7). Fa finta di nulla, cerca di lusingare Uria sottolineando la sua abilità di soldato, e però diventa menzognero.
Poi, quasi “en passant”, gli dice: “Scendi a casa tua e lavati i piedi’. Uria uscì dal palazzo, e gli fu mandata dietro una portata della tavola del re. Ma Uria dormì alla porta del palazzo con tutte le guardie del suo signore e non discese a casa sua” (vv. 8-9). Forse Uria aveva capito, perché Davide parlando si era un po’ tradito nella voce. O forse non aveva capito ed era semplicemente rispettoso delle regole di guerra.
In quella prima notte, il re comincia a pensare che non è così facile come immaginava, che non può dominare la situazione come credeva. Tuttavia non perde la sua padronanza.
“Fu informato Davide: Uria, gli dissero, non è sceso a casa sua. Davide domandò a Uria: ‘Non arrivi forse da un viaggio? perché non sei sceso a casa tua?’ Uria rispose a Davide: ‘L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, il mio capo Joab e la truppa del mio signore sono accampati in campagna, e io dovrei andare nella mia casa per mangiare e bere e dormire con mia moglie? Com’è vero che il Signore vive e che tu vivi, non farei mai una cosa simile!” (vv. 10-11).
Il testo è pieno di ironia e si ha l’impressione che Uria si stia prendendo gioco del re, come se avesse dei sospetti e volesse prenderlo al laccio. Davide, ormai confuso, inganna l’uomo con l’amabilità e l’ospitalità, mentre Uria, rovesciando il discorso, si appoggia alla lealtà, al rispetto per Dio e per le regole. E’ una grande lotta, e il re ha la peggio.
Non vuole però darsi per vinto e invita Uria a bere e a mangiare in sua presenza, facendolo poi ubriacare. Anche ubriaco, Uria dorme con i servi e non va a casa.
In questa terribile notte, Davide si accorge per la prima volta che è davvero prigioniero di se stesso.
Non dice tuttavia: “Che cosa ho mai fatto?”, ma ha in mente una sola cosa. Egli vuole salvare tre valori, tutti grandi, che lo irretiscono:
– il primo è la “rispettabilità del re”;
– il secondo è la “madre”, col bambino, che vuole vivi a ogni costo. Avrebbe potuto abbandonare la donna, sapendo che si sarebbe fatta uccidere piuttosto di rivelare al marito il nome dell’uomo che l’aveva messa incinta, però la ama e non vuole perderla;
– il terzo è l’ “amico”, Uria, che non bisogna sopprimere.
Non sa cosa fare: lasciar perdere la rispettabilità del re? Impossibile. Lasciar morire la donna e il bambino? Nemmeno. Sopprimere l’amico? No.
Passa da un valore all’altro, senza voler rinunciare a nessuno. Questo è il peccato, il disordine: l’essere giunti per negligenza, mancanza di attenzione, superficialità, a una situazione che diventa a poco a poco inestricabile.
Forse, per la prima volta nella vita, Davide ha paura e si rende conto che deve per forza rinunciare a uno dei tre valori. Per tutta la notte non fa che arzigogolare e, al mattino, è sfinito. Improvvisamente la decisione è presa: sacrificherà l’amico.
Con astuzia e perfidia, ma forse già col cuore spezzato, scrive una lettera a Joab e manda Uria a portarla: “Aveva scritto nella lettera: ‘Mettete Uria nel punto in cui ferve maggiormente la mischia e ritiratevi da lui: che sia ferito e che muoia’. Joab, che assediava la città, pose Uria dove sapeva che si trovavano dei valenti guerrieri. Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Joab. Ci furono dei morti nell’esercito, tra gli ufficiali di Davide, e anche Uria l’Hittita morì” (vv. 15-17)» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, pp. 69-71).
È interessante notare come Davide passa in poco tempo dalla “padronanza” al diventare consapevole di essere “prigioniero di se stesso” (sono termini usati da Martini). Ecco come un re potente diventa schiavo del peccato, perde del tutto la libertà interiore. Non dimentichiamo che la libertà ha bisogno di luce, di verità, altrimenti è una tragica gabbia.
Forse la cosa che più mi colpisce è che Davide ragiona, riflette, in qualche modo ha una coscienza con cui discerne e cerca di capire quale dev’essere la condotta più opportuna. Può sembrare una forma di prudenza, mentre la prudenza come virtù deve essere nel bene (non è virtù della prudenza chi ruba con scaltrezza!). La vera coscienza deve essere nella luce, nel rapporto col Signore, nel cercare il vero bene, non il proprio egoistico tornaconto. Non basta decidere secondo coscienza, ma è indispensabile che la coscienza sia aperta all’ascolto di Dio.
Inoltre, è importante notare che Davide si trova a cercare di armonizzare, di salvare tre valori: i propri interessi, quelli di Betsabea e quelli di Uria. Anche noi talvolta possiamo avere l’impressione di non avere vie di uscita. Davide sceglie l’omicidio e magari si sarà sentito quasi soddisfatto. Avrà convinto …se stesso di non aver avuto altra via di uscita e quindi si sarà detto: “ho scelto il male minore”. Già ho precisato tempo fa che nessuno è mai costretto a scegliere il male minore a livello morale (né si è mai giustificati nel commettere un peccato, per quanto a noi possa sembrare meno grave rispetto a un altro). L’uomo non deve mai pensare che deve necessariamente commettere un peccato. La tragedia è che Davide è al buio e non chiede aiuto a Dio, non gli chiede luce, non si pente dell’adulterio commesso, ma continua nella sua strada di doppiezza e perfidia.
Voglio sottolineare altri due punti, che ritengo molto importanti.
Il primo: Dio sembra in silenzio, assente oppure spettatore inerte dinanzi a tale tragedia. Vedremo che ovviamente non è così.
Il secondo: Davide trova un grande alleato, o amico, in Joab, persona fidata e suo stretto collaboratore, ai vertici del regno. In realtà, Joab è complice del male compiuto da Davide e vivrà una fine davvero tragica a opera del figlio di Davide. La sua triste vicenda è narrata nel secondo capitolo del primo libro dei Re.