Vi spedisco il commento di don Fabio Rosini alle letture di questa domenica.
«Gv 3,14-21.
La IV domenica della Quaresima si chiama “Dominica in laetare”, nome preso dall’antifona d’ingresso, e sottolinea che il tempo severo e sobrio della Quaresima non può essere assolutizzato, deve essere interrotto, perché la vita cristiana non ha nell’austerità che una fase di passaggio. La vita cristiana è letizia, la penitenza è uno stato di preparazione alla vita da figli di Dio, nel cammino verso la gioia del cielo, per la strada della Pasqua.
La parola “letizia” è un termine interessante. Contiene la radice della parola “letame”, e parla di fecondità, ma di quel tipo che nasce da qualcosa che in sé non è molto nobile. La prima lettura di questa domenica ci presenta, infatti, un estratto dell’ultimo capitolo del Secondo libro delle Cronache – che nel canone ebraico è l’ultimo brano della Bibbia – testo che ha due colori. Il secondo è quello della felicità del popolo che finalmente, dopo settant’anni di esilio, può tornare nella sua terra. E qui si chiude la Bibbia nell’originale ebraico, con questa prospettiva di ricostruzione. Ma il primo tono è quello tragico della distruzione dall’esilio in cui il popolo si è andato a cacciare, errore su errore e malgrado i richiami della Provvidenza.
Ci può anche dar molestia, ma la letizia cristiana parte dalla povertà, dalla constatazione dei nostri limiti e dei nostri pericoli. La nostra è una salvezza da ricevere, non altro. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.
Questo proclama il Vangelo di questa domenica della letizia.
Andare perduti, sprecarsi, dilapidare la propria bellezza, è possibile, capita. Perdere le occasioni, veder se stessi e gli altri sciuparsi e andare in malora: come si scappa a questa ipotesi? Come ci si tira fuori dalla distruzione? Non da soli. “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Per lasciarsi salvare, per entrare nella letizia, ci vuole l’odore della nostra povertà, la fecondità del letame. I poveri accolsero con letizia il Messia, i giusti no.
“La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” – venire alla luce vuol dire lasciarsi vedere per quello che siamo: anche noi poveri, esattamente come tutti gli uomini che Cristo è venuto a salvare. Vale la pena di buttar via la maschera dei buoni! Lasciamo che entri la luce che fa male ma guarisce. E cosi smetterla di mimare la felicità.
Siamo incompleti, non possiamo che esserlo. Perché mai aver tanta paura di venire alla luce e svelarsi deboli? Semplice: perché ci siamo venduti mille volte per forti. E non lo siamo. Diceva E. Mounier: “Ci si adatta meglio a una cattiva coscienza che a una cattiva reputazione” (E. Mounier, L’avventura cristiana, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1990 – or. fr. 1945- , p. 52). E così si vive obliquamente, nella tenebra della solitudine.
Che gioia, invece, venire alla luce, lasciarsi amare poveri, lasciarsi salvare. Questa è la letizia cristiana» (FABIO ROSINI, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 81-82).
Mi hanno colpito due frasi:
• “I poveri accolsero con letizia il Messia, i giusti no”.
• “Vale la pena di buttar via la maschera dei buoni!”
Certamente non siamo esortati a essere ingiusti o cattivi, ma la gioia scaturisce dall’incontro con Gesù. Tale incontro è positivo, fecondo e salvifico, se riconosciamo che abbiamo bisogno di Lui, del suo Amore che guarisce.