Don Fabio, nel commento al Vangelo di questa domenica, pone una domanda cruciale: se non siamo più servi, ma amici, perché dobbiamo fare ciò che Gesù comanda per essere suoi amici, dal momento che è il servo che deve obbedire a ciò che il padrone comanda?
«VI domenica di Pasqua
Gv 15,9-17
«Amatevi come io vi ho amato», il comandamento nuovo. Roba grossa. Gesù lo collega all’amicizia, vertice – in Giovanni – della relazione tra Gesù e i suoi discepoli. L’amicizia sembra una cosa naturale e spontanea da vivere. Lo è davvero? Dice il Siracide: «Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro» (Sir 6,14). Non so quanti tesori abbiano trovato i lettori in vita loro…
Gesù dice: «Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando», Che rapporto è mai questo? Un’amicizia a condizione? Gesù dice: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi». Se porta in sé un amore grande come il Padre celeste, perché dunque porre condizioni? E rincara il peso specifico del discorso rivelando: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Nientemeno. Avere dentro di noi la gioia di Cristo. Roba da far esplodere il cuore. Decisamente vale la pena di buttarsi, ma… come la mettiamo con la condizione secondo la quale siamo amici suoi solo se facciamo quel che ci comanda? E questo vorrebbe dire non essere più servi. Secondo logica, proprio questo è il servo: quello che deve fare quel che gli comandi. Sembra tutto un po’ stonato
Proviamo a lasciarci trasfigurare da queste parole, come il Vangelo sa fare, se glielo permettiamo.
Spesso, all’inizio di un’amicizia, le parti si muovono a velocità diverse: una persona si apre e l’altra no. Forse ci mette molto a sbloccarsi. La vera amicizia inizia il giorno in cui si prova a fare qualcosa per l’altra persona, andando al suo ritmo, entrando nei suoi gusti, nel suo modo di essere, dribblando con affetto le curve delle sue idiosincrasie, mettendosi dalla sua parte senza calcoli. Allora si “assaggia” l’amicizia. Il fatto è che non apprezziamo veramente l’amore di Cristo per noi solo perché ci ama. Sorpresa: l’amore di Cristo non basta per se stesso. Perché l’amore di Dio non ci asfalta. Mai visto nessuno essere trasformato dalla grazia senza quel pezzettino che Dio non può mettere se non lo mette l’uomo. Senza la nostra libera adesione Cristo resta lì, alla porta. Bussa, ma non irrompe. Sì, l’amore di Cristo è dolcissimo e vigoroso, e gli aggettivi non bastano. Ma è solo quando rispondiamo al suo amore, che il suo amore cessa di essere un semplice concetto per noi. È quando proviamo a riverberare il suo amore che diventa tutto meraviglioso. Allora sappiamo cos’è la sua amicizia e sperimentiamo la profondità del suo amore per noi. Per capirci: posso essere in mezzo a cinquanta persone che mi amano, ma se io non amo nessuna di loro, sono solo. Allo stesso modo, se Cristo mi ama totalmente, ma non dico di “Sì” al suo amore, la vita nuova non entra in me. Resta un’informazione astratta. Cristo cerca la mia risposta, come fanno tutte le vere amicizie. È essenziale che mi smarchi da me stesso e faccia qualcosa che risponda alla tenerezza che mi è stata usata.
È bello nascere, ma far nascere qualcuno è molto più bello.
È tanto bello essere amati, ma amare è molto più bello» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 108-109).
Mi hanno colpito molto tre temi:
• Smarcarsi da se stessi.
• Essere amati, ma sentirsi ancora soli, se non cominciamo davvero ad amare.
• Se non dico sì al suo amore, in me la vita nuova non entra. Che esperienza ho fatto dell’ingresso di questa vita nuova nel luogo più intimo della mia persona?
Infine, c’è un cenno all’esplosione del cuore. So che significa (non per studio, ma per esperienza)? Se non l’ho sperimentato, forse al Signore non ho ancora permesso di darmi la sua gioia, facendolo entrare veramente in me?