Pensiero serale del 04-05-2024

Qualcuno può essere rimasto un po’ perplesso per l’espressione “Il desiderio di compiacerti” contenuta nel pensiero di ieri. Come accennavo, per intendere bene un brano, occorre conoscere la vita, l’interiorità dell’autore del brano stesso. Il Vangelo di questa VI Domenica di Pasqua è tutto incentrato sull’amore. Ecco, io cerco di “compiacere” a Dio non per paura di un castigo, non per servilismo, non obbedendo a norme esterne a me, che io magari subisco, ma solo perché è un’esigenza profonda che sento in me e che deriva dalla gratitudine per il suo Amore, dal mio desiderio di essere fedele a tanto Amore e perché capisco (e sperimento!) che tutto ciò coincide con la piena e vera realizzazione di me stesso. Sul termine “piacere” vi segnalo alcuni passi di san Paolo: 1 Cor 7, 32-34; Gal 1,10 e 1 Ts 4,1.

 

Sul tema dell’amore raramente ho letto pagine più belle di quelle che Benedetto XVI ci ha donato nella sua bellissima prima enciclica. Vi spedisco solo una piccola parte di un paragrafo di questo documento. Vi aiuterà a comprendere meglio anche il brano del Vangelo di questa domenica.

 

«È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tutte le potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza. L’incontro con le manifestazioni visibili dell’amore di Dio può suscitare in noi il sentimento della gioia, che nasce dall’esperienza dell’essere amati. Ma tale incontro chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai “concluso” e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle — volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l’abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia» (BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 17).