Vi spedisco il commento di don Fabio Rosini alle letture di questa domenica. Credo che pochi temi come quello della malattia siano coinvolgenti e spesso drammatici. Le riflessioni di don Fabio stavolta sono ancora più “forti” perché negli ultimi anni egli è stato colpito da malattie molto serie…
V domenica del Tempo Ordinario
Mc 1,29-39
La liturgia di questa domenica inizia dal colore amaro della sofferenza di Giobbe e dall’angoscia dell’essere umano sulla terra. I suoi sono giorni da mercenario che vive solo per il salario. Un contrasto netto con il Vangelo, in cui Gesù lascia la sinagoga e va a casa di Simone, passaggio simbolico dell’inizio della Chiesa. Nella casa – dopo l’indemoniato della sinagoga – Gesù incontra l’umanità sofferente: la suocera di Simone è malata. Per la preghiera dei suoi, Gesù, mano nella mano, scaccia la febbre di questa donna. Lei è guarita, e le sue mani. Iniziano a servire. Cosa era quella febbre? Era ciò che teneva questa donna lontana dal servizio. Ossia dall’amore.
Infatti: perché guarire? A che scopo stare bene? La salute per la salute non è niente di notevole. Si guarisce per fare qualcosa di bello; altrimenti cosa?
Il racconto procede, e arriva il tramonto dello Shabbat, e delle sue norme: la gente finalmente può muoversi liberamente, e ha saputo dell’indemoniato – e forse della donna guarita: una folla si riversa in quella casa.
È sempre cosi: quando nella Chiesa diamo segni di vita nuova, non sappiamo dove mettere le persone, arrivano tutti coloro che soffrono ossessioni e infermità. Questo inizia oltre il sabato, oltre l’impotenza della legge che non sa guarire. È il tempo nuovo di Gesù, il tempo dopo il sabato, quello in cui si risorge. E avvengono tante liberazioni e guarigioni.
Ma anche qui: guarire perché? Il Signore Gesù si alza prima dell’alba, si nasconde e prega. Gesù nel deserto deve stare con il Padre, per vivere il segreto di quel che sta succedendo. Tutti lo cercano, ed è ovvio: con tanto esito, ci si dovrebbe godere il successo. Niente affatto, la sua risposta è: “Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo, infatti, sono venuto”. Come ci si salva dalla vita da mercenari infelici di cui parlava Giobbe? Nell’intimità con il Padre, lì dove sgorga la nostra vera identità, scopriamo cosa conta veramente, e ci si smarca dalla trappola delle aspettative altrui. A pensarci: se Gesù fosse rimasto lì, a raccogliere il successo, da noi non arrivava. Di villaggio in villaggio è giunto al fondo della sua missione: salvare ogni uomo. Non solo Cafàrnao.
Installarsi e sopravvivere o andare oltre ed entrare nelle cose grandi? Come Gesù nel Vangelo, siamo stati fatti per ben altro che vivere per quattro carabattole. Siamo nati per fare qualcosa di bello e di grande.
Quando un matrimonio diventa solo rassicurazione e sopravvivenza, diventa una cosa grigia. Ci si sposa per darsi la vita, non per tirare a campare. Quando il lavoro diventa solo un mezzo per vivacchiare, ci si dimentica che è un’occasione per servire, per amare. E diventa robetta.
Tutto può essere una missione, se si conosce il Padre.
San Massimiliano Kolbe pensò che Auschwitz fosse un luogo dove compiere una missione. E illuminò quell’orrore con l’amore.
C’è sempre qualcuno da amare, qualcuno verso cui andare. C’è sempre. Si tratta di andare oltre» (FABIO ROSINI, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 61-63).
Vi consiglio di soffermarvi su ciò che dice riguardo alla legge (la sua impotenza: perché?) e alla preghiera di Gesù. Pensiamo a pregare il Signore, ma forse riflettiamo poco sul grande mistero della preghiera che Egli rivolge al Padre.
Mi ha colpito molto il cenno alla trappola delle aspettative altrui.
Ho apprezzato inoltre il verbo “installarsi”.
Tutti sappiamo come sono importanti la famiglia e il lavoro, ma don Fabio ne evidenzia alcuni rischi su cui dovremmo meditare di più.
Infine, ho gioito per il riferimento a Kolbe, uno dei santi che ammiro di più.