Anche stasera, con monsignor Ravasi, vorrei riflettere sul tempo considerando la provvisorietà, la precarietà delle vicende umane. È un tema molto importante su cui conto di soffermarmi anche in futuro. Auguro sempre a me e voi di vedere tutto nell’ottica della fede.
«La maggiore consolazione che ricaviamo dalla transitorietà delle cose è il diritto di poter dire in ogni situazione: “Anche questo passerà!”.
Commenta monsignor Ravasi:
«Conoscevo lo scrittore statunitense Nathaniel Hawthorne (1804-1864) per il suo famoso e forte romanzo “La lettera scarlatta”, duro attacco contro l’ipocrisia perbenista. Ora, su una rivista americana, trovo una citazione tratta dall’ultimo suo romanzo che non conoscevo, “Fauno di marmo”, composto e ambientato proprio in Italia. Quella frase, che propongo oggi ai lettori, ben s’adatta alla sensazione che si sperimenta vedendo i giorni fluire velocemente l’uno dopo l’altro […]. L’aspetto positivo del flusso del tempo è che anche le disgrazie se ne vanno con quello scorrere. Hawthorne evoca, infatti, una frase che tutti abbiamo ripetuto nei momenti più amari della vita: “Anche questo passerà!”.
Certo, è una magra consolazione; eppure è uno dei doni che il tempo ci fa. Pensiamo al dolore lacerante che si prova quando si perde una persona amata: per fortuna il tempo, anche se non cancella la ferita, la cicatrizza e ci permette di continuare a vivere. Bisogna, perciò, saper accogliere questa medicina che la transitorietà delle cose contiene al suo interno e ci distilla sapientemente. Chi s’attacca alle realtà terrene in modo idolatrico, scambiandole per eterne, alla fine si dispera perché le perde, sia già durante la vita con qualche tracollo o insuccesso sia quando vede incombere la morte. Impariamo perciò a vivere consapevolmente il nostro limite temporale. Il Salmista ci invita a pregare così: “Insegnaci, Signore, a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (90, 12)» (GIANFRANCO RAVASI, Mattutino, in Avvenire, 20-11-2004, p. 1).