Ieri mi ha molto colpito ascoltare un’omelia molto bella in cui il sacerdote metteva giustamente in guardia dal rischio di essere cristiani e cattolici solo in apparenza, svolgendo magari tutte le attività tipiche di un cattolico (processioni, novene, apostolato, servizi vari), ma conservando una mentalità del tutto opposta a quella del Vangelo. Egli affermava ciò a partire dal brano del Vangelo della s. Messa (Mc 10,32-45). Io sono certo che ciò vada interpretato in particolare alla luce dell’insegnamento di Gesù sui temi etici; mi riferisco ancora più specificamente al tema dell’indissolubilità del matrimonio. In altri termini, un cattolico non può non essere del tutto contrario all’adulterio e al divorzio. So bene che molti nella Chiesa e nel mondo la pensano diversamente, ma è molto triste illudersi di passare magari dall’ateismo alla fede con una serie di riserve. Se io decido di seguire Gesù, devo accettare di capovolgere del tutto e radicalmente il mio modo di pensare, per vivere secondo Gesù e non secondo il mondo. Ebbene, per confermare tutto ciò, stasera vi spedisco parte di un’omelia rivolta ai Vescovi italiani sempre da san Paolo VI, un mese dopo il drammatico referendum sul divorzio (12 e 13 maggio 1974).
«Abbiamo bisogno di unità, noi Vescovi per primi, che abbiamo la missione di promuoverla, di tutelarla, testimoniarla, di servirla, di viverla, nel circuito della fede e della carità (Cfr. Ef 4, 15-16).
Questo tema ci obbliga ad accennare, anche in questa sede tanto spirituale e serena, al risultato del recente Referendum, il quale ha procurato a noi la dolorosa conferma di vedere documentato quanti cittadini di codesto sempre dilettissimo Paese non siano stati solidali in un esperimento relativo a tema, l’indissolubilità del matrimonio, che avrebbe dovuto, per indiscutibili ragioni civili e religiose, trovarli assai più concordi e più comprensivi.
Noi non ne faremo per questo un argomento di ormai superate polemiche.
Faremo piuttosto un paterno appello agli ecclesiastici e religiosi, agli uomini di cultura e di azione, e a tanti carissimi fedeli e laici di educazione cattolica, i quali non hanno tenuto conto, in tale occasione, della fedeltà dovuta ad un esplicito comandamento evangelico, ad un chiaro principio di diritto naturale, ad un rispettoso richiamo di disciplina e comunione ecclesiale, tanto saggiamente enunciato da codesta Conferenza Episcopale e da noi stessi convalidato: li esorteremo tutti a dare testimonianza del loro dichiarato amore alla Chiesa e del loro ritorno alla piena comunione ecclesiale, impegnandosi con tutti i fratelli nella fede al vero servizio dell’uomo e delle sue istituzioni, affinché queste siano internamente sempre più animate da autentico spirito cristiano.
Noi esprimeremo l’augurio che un vigilante senso di personale e comunitaria responsabilità si alimenti negli animi di tutti, specialmente dei coniugi, di coloro cioè che hanno scelto lo stato coniugale per dare felicità e valore alle loro esistenze, e poi particolarmente di quanti hanno missione pastorale, educativa, o sociale nel popolo, e pregheremo Iddio che tale senso vitale rimanga inviolabile presidio e umanissimo vanto della famiglia italiana. Ed esortiamo perciò tutti coloro che hanno dovere e possibilità ad intensificare la loro opera per dare ai valori ed ai bisogni familiari sempre più sollecita ed adeguata assistenza» (S. PAOLO VI, Omelia s. Messa con i Vescovi italiani, 8-6-1974).
Ci tengo a precisare che non ignoro la debolezza di ogni uomo, ma una cosa è dire: “Sto peccando e chiedo perdono al Signore, un po’ alla volta aderirò al suo disegno”, altra cosa è affermare: “Decido io cosa è bene e cosa è male, per esempio sui temi relativi alla sessualità o alla bioetica”.