Pensiero serale 29-06-2024

Accompagnati, come al solito, da Don Fabio Rosini nel commento al Vangelo di questa domenica, siamo invitati a riflettere su due grandi temi molto legati fra loro: l’umiltà e l’incontro col Signore.

 

XIII domenica del Tempo Ordinario

Mc 5,21-43

«In questa domenica abbiamo due storie incrociate: un padre che sta vedendo la sua figlia dodicenne morire, e una donna che da dodici anni patisce emorragia. Le due storie si incastrano e si illuminano fra loro, e il numero dodici ritorna come una costante che illumina i drammi che vengono raccontati.

Quali? Quello di un uomo che vede sua figlia morire sulla soglia della vita feconda – dodici anni era l’età canonica per iniziare la trattativa verso il matrimonio, corrispondendo comunemente all’inizio del ciclo mestruale – e quello di una donna ferita nella sua fecondità, che non può diventare madre.

Uno è nientemeno che il Capo della Sinagoga, ma il suo essere tale non lo aiuta a nulla: sua figlia sta morendo, e il suo ruolo nella struttura religiosa si mostra inutile.

L’altra è una donna distrutta più dalle cure che dal male che la umilia come donna e che la tiene in stato rituale di impurità, secondo le leggi del suo popolo.

Entrambi pensano a gesti concreti: il padre chiede a Gesù di imporre le mani alla sua figlioletta, e la donna spera di toccare le vesti di Gesù.

Imporre le mani è il gesto tipico della benedizione paterna, e Giàiro fa una cosa inusuale: passa la sua paternità a Gesù, riconosce che, come padre, dovrebbe saper dare la vita a sua figlia, ma non lo sa fare.

Toccare una donna in stato impuro era vietato, ma questa donna vuole andare oltre le regole, e toccare le vesti è il contatto con qualcuno di diverso da tutti coloro che hanno affrontato la sua malattia, che l’hanno solo espropriata e fatta soffrire.

La religione è inutile per Giàiro. La sapienza umana dei medici ha fallito con questa donna.

Ma c’è un terzo personaggio: la folla, la gente, che stringe Gesù, che rende difficile il contatto per la donna, e che irride Giàiro nella sua fede e lo scoraggia ad appellarsi a Lui. La gente che stringe, urla, piange, irride, strepita con il suo trambusto.

Chi riuscirà ad arrivare a Gesù, a conoscerne la potenza, a vedere la sua guarigione, saltando la forza della folla? Chi ha capito di non avere soluzioni, come questi due, chi sa di non avere più coerenze religiose da sfoderare, chi ha capito l’inganno e i limiti della sapienza umana. Un padre disperato, una donna impoverita e sofferente.

Bisogna saper andare oltre la folla, oltre la sapienza umana, oltre la struttura religiosa. Perché Gesù vuole dialogare di persona con questa donna, e caccia via la gente dalla casa per restare con questa bambina e la sua famiglia. Gesù cerca una relazione personale, diretta, intima. Per dare una vita diversa da quella del mondo, per renderci fecondi, per guarire le nostre paternità.

Abbiamo bisogno di pescare nel tesoro prezioso dei nostri fallimenti, delle nostre angosce, per toccare e farci toccare da Gesù.

Chi è che tocca il Signore? Chi ha già sofferto troppo per continuare a illudersi con le trovate dei medici umani. Chi è che prega veramente? Chi conosce il proprio vuoto e invoca Dio dal profondo della propria debolezza.

Beati i poveri in spirito. Di essi è il Regno dei Cieli»

(ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 136-137).