Oggi nella s. Messa la Chiesa ci propone due brani (Sir 6,5-17; Mc 10,1-12) in cui vengono trattati due temi di rilevanza decisiva per la nostra realizzazione e la nostra felicità: l’amicizia e la vita coniugale. Il commento di Vanhoye ci aiuta moltissimo soprattutto perché sottolinea ciò che dice san Pietro nella sua Prima Lettera: egli ci esorta a vivere un amore che è diretta conseguenza del fatto che siamo stati rigenerati, ovviamente per opera di Cristo redentore. San Tommaso d’Aquino direbbe: “operari sequitur esse”: io agisco, io amo in base a come il Signore mi ha plasmato e redento, naturalmente se accolgo la Sua opera in me, se mi impegno a vivere con costanza il rapporto con i Sacramenti e con la Parola, nella docilità allo Spirito Santo e con una preghiera umile e sincera. Ecco ora le riflessioni di padre Vanhoye.
«Le due letture della liturgia di oggi ci parlano di fedeltà – fedeltà nell’amicizia e fedeltà nel matrimonio – e ci mostrano che essa corrisponde al desiderio di Dio. Anche Pietro nella sua Prima lettera ci esorta così: “Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli alti, rigenerati non da un seme corruttibile, ma incorruttibile” (1 Pt 1,22-23). Immortalità e fedeltà vanno insieme. Questa è una verità che gli uomini non comprendono facilmente, perché essi concepiscono l’amore in modo troppo naturale, confondendolo con i propri interessi. È vero che nell’amore umano si trovano sempre un po’ mescolati interesse proprio e generosità, ma proprio per questo è necessario purificare l’amore e renderlo sempre più fedele e disinteressato. Anche nel matrimonio l’unione vera non si può basare sulla passione e sulla volubilità dei sentimenti, ma sulla fedeltà. Il che non è facile da realizzare, perché ognuno è tentato di cercare il proprio piacere e la propria felicità, e pensa che questo sia il vero amore. Ma l’interesse personale e l’egoismo possono portare alla rottura-della vita matrimoniale. Il progetto di Dio sul matrimonio è diverso, come ci ricorda Gesù: “I due diventeranno una carne sola. Così non sono più due ma una sola carne”. Gesù ci fa capire che l’uomo segue questo progetto divino quando non cerca la propria felicità, ma la felicità dell’altro, anche a prezzo di proprie rinunce. In questo modo ciò che Dio ha congiunto non sarà mai diviso. Questo è un comando divino, ma nello stesso tempo è anche un dono divino, come afferma il Siracide a proposito dell’amicizia: “Un amico fedele è medicina che dà vita: lo troveranno quelli che temono il Signore”, cioè coloro che hanno nei confronti dell’amico quel rispetto profondo, fatto di docilità e di amore, che la Bibbia chiama “timore di Dio”. Se una persona vive nella docilità verso Dio, riverserà nella sua amicizia la generosità che viene soltanto da Dio; per questo “chi teme il Signore sa scegliere gli amici”. Fondando la sua vita sul Signore, che è amore generoso, anch’egli sarà generoso e fedele e troverà un vero amico, perché, “come è lui, tali saranno i suoi amici”. Il testo della Prima lettera di Pietro, che è stato citato sopra, ci rivela la ragione più profonda della fedeltà nell’amicizia “Amatevi intensamente […], rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile per mezzo della parola di Dio viva ed eterna”. La nostra vita spirituale è fondata sulla parola di Dio, che ci dona una vita nuova e che non finisce mai. Questo ci fa capire che anche i nostri affetti, se sono penetrati dal soffio della parola e dell’amore di Dio, dureranno per sempre» (VANHOYE ALBERT, Il pane quotidiano della Parola, volume II – Tempo ordinario/1, Edizioni AdP, Roma 2015, pp. 136-137).