Stasera ovviamente continuiamo a meditare su san Giovanni Battista. Nel commento di don Fabio mi colpiscono due verbi: “deragliare” e “ingabbiare”. Entrambi questi verbi mi hanno fatto pensare a Gen 2,24.
Natività di Giovanni Battista
Lc 1,57-66.80
«Nel Credo diciamo che lo Spirito Santo “ha parlato per mezzo dei profeti”; in genere abbiamo poche occasioni per illuminare cosa sia la profezia, e in questa occasione lo possiamo fare, per mezzo della Natività di Giovanni Battista che è l’ultimo dei profeti, colui che indicherà il Messia. In lui si incarna tutta la profezia d’Israele. Crescerà nel deserto perché è il rampollo di quel popolo che nel deserto ha ricevuto la Parola, e dal deserto è salito a prendere la sua eredità, e preparerà la strada a Colui che introdurrà l’umanità nella vera terra promessa, il Cielo.
Il testo affronta un problema apparentemente secondario: il nome da dare a questo bimbo.
Non è una questione banale, tanto che il Vangelo secondo Luca gli dedica questo passaggio; il nome infatti, nella Bibbia, è un dato essenziale.
Il nome rappresenta la missione di un uomo. Simone dovrà cambiare nome, come successe al patriarca Abramo, e si chiamerà Pietro perché la sua vita cambierà, perché nel nome si porta il segno di ciò che si è veramente al cospetto di Dio.
Allora decidere il nome del profeta è capire chi è, che missione avrà e quale sia il suo traguardo.
Nella diatriba compaiono degli orientamenti. Analizzando il testo, se ne trovano principalmente tre. Vediamoli: il primo è che i parenti “volevano chiamarlo…” con un nome che loro hanno scelto. Questo ha la forza dell’attrazione verso il polo delle aspettative altrui, avere il nome che gli altri vogliono, trovarsi incastrati dentro quel che la gente pensa di noi. Questo uccide la profezia in ogni cuore: e chi mai profetizzerà secondo verità e secondo Dio, se non si può deludere nessuno?
La seconda tendenza compare dopo che la madre dice di chiamarlo Giovanni, nella reazione della gente: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”!
Esistono degli usi e dei costumi, si è sempre fatto così. Ma se la profezia non dice niente che rompa le abitudini, non è profezia. Se debbo portare la Parola di Dio, dovrò essere qualcuno che mette in crisi le assuefazioni. Quando Dio entra nella nostra vita, deve deragliarci dal nostro assetto, sennò non porta la sua salvezza ma ci lascia dove già stiamo!
Anche questa idea non va.
La terza è nel nome proposto: tutti vogliono chiamare questo piccolino col nome del padre, Zaccaria. É un bel nome, significa “Dio ricorda”, proclama la memoria di Dio,
e il popolo ha tanta meravigliosa memoria da coltivare. La profezia è intessuta di memoria, le promesse vanno ricordate, è essenziale. Sembra che vada bene. Ma questo è anche uno schema che ingabbia l’opera di Dio nei binari di quanto ha già fatto. Gesù infatti fu rifiutato proprio perché era oltre le promesse.
Il nome giusto è Giovanni che significa “Dio dona grazia” o anche “Dio usa misericordia”. È collegato al termine “grazia”, la generosità amorevole di Dio. La vera profezia è quella che annunzia la grazia di Dio, la sua abbondanza di Padre. Dio è molto più generoso di quanto noi pensiamo.
La profezia più autentica è sempre l’amore di Dio. Che è più grande di quanto pensiamo» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 133-135).
Con tutto il rispetto per il IV Comandamento, non so quanti fidanzamenti e quanti matrimoni ho visto rovinati dalle interferenze dei genitori degli sposi.
Talvolta addirittura ci sono interferenze anche nella scelta del nome del bambino! Credo che sia importante mirare ad una vera maturità e autonomia rispetto alle famiglie di origine, non dimenticando mai Chi è la vera sorgente della vita, dell’amore e della vocazione.