Pensiero serale 24-02-2025

Quando posso, nei giorni feriali continuo a meditare le letture della s. Messa, lasciandomi aiutare dal cardinale Vanhoye. Il commento di oggi lo ritengo molto utile perché ci consente di vedere come un miracolo, che apparentemente non ci riguarda (la liberazione di un indemoniato), in realtà ci può dare indicazioni preziose per la nostra vita. Inoltre, ho notato un importante collegamento col Vangelo di ieri in cui Gesù ci dava un grande insegnamento per porci in modo sapiente verso il male che spesso ci circonda. Ecco il commento del biblista francese, che si sofferma soprattutto su Mt 8,14-29.

«Il mondo in cui viviamo potrebbe forse essere paragonato al ragazzo posseduto dallo spirito muto di cui parla il Vangelo di oggi. Anch’esso, infatti, spesso è in preda a convulsioni. Come il ragazzo è gettato nel fuoco e nell’acqua, così esso è gettato nel fuoco della violenza e della guerra, e nell’acqua delle comodità e della smania dei piaceri. Ma questo mondo deve essere guarito. Gesù ci ha detto che noi siamo il sale della terra e la luce del mondo (cf. Mt 5,13-16); perciò anche noi dobbiamo contribuire a guarire il mondo dalle sue convulsioni. Come possiamo farlo? Di fronte a questo compito noi ci sentiamo incapaci, ma Gesù ci indica i mezzi: la fede e la preghiera. Dobbiamo credere veramente; allora potremo fare qualcosa, anche nelle circostanze più difficili della vita. E la fede ci permette di pregare in modo efficace. Nel Vangelo, vediamo che il rimedio usato da Gesù per guarire il ragazzo è una morte che si trasforma in risurrezione. Marco infatti racconta l’episodio in modo da evocare la morte in vista della risurrezione. Per essere guarito, questo ragazzo deve passare attraverso la morte: “Il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: È morto. Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi”. Quindi, in questo episodio c’è un’allusione sia alla morte (diventò come morto) sia alla risurrezione (lo fece alzare; stette in piedi). Anche il nostro mondo, scosso da tante convulsioni, ha bisogno di una morte che porta a una risurrezione, di una mortificazione che conduce a una vita nuova. Per questo è necessaria la preghiera. Avviene allora anche per noi ciò che è avvenuto per Gesù. Per accettare di morire per risorgere, egli ha dovuto pregare a lungo e intensamente durante la sua agonia al Getsemani (cf Mt 26, 36-46 e par.). Per mezzo della preghiera, egli ha ricevuto dal Padre lo Spirito, che gli ha dato la forza di affrontare la sua passione. Questa è l’imperscrutabile sapienza divina, da cui dobbiamo farci sempre illuminare. Chiediamo allora al Signore il dono della fede e della preghiera, perché noi e tutto il mondo, passando attraverso la morte, giungiamo alla risurrezione» (VANHOYE ALBERT, Il pane quotidiano della Parola, volume II – Tempo ordinario/1, Edizioni AdP, Roma 2015, pp. 126-127).

Siccome la Prima Lettura di oggi (Sir 1,1-10) ci induce a meditare sulla bellezza della creazione e sappiamo che anche con la sola ragione possiamo giungere alla certezza dell’esistenza di Dio, qual è la differenza tra la fede cristiana in Dio e la certezza dell’esistenza di Dio raggiunta appunto con l’uso sapiente della sola ragione ammirando la bellezza del creato? A chi vuole un aiuto per rispondere mi permetto di segnalare il Manuale: cap. II, §10.4, pp. 140-141.