Penso di soffermarmi ancora un po’ sulle letture di ieri. Ora vi spedisco una meditazione di un autore non molto conosciuto (almeno da me). È facile notare che sia nella Prima Lettura sia nel Salmo Responsoriale sia nel Vangelo ritorna il tema del pastore, contrapposto ai cattivi pastori. La riflessione, che vi offro stasera, ci dona la possibilità di soffermarci su un aspetto molto particolare: Gesù è al tempo stesso pastore e agnello.
«A ragione Cristo, essendo pastore, esclamava: “Io sono il buon pastore” (Gv 10, 11). “Io stesso fascerò la pecora ferita e curerò quella malata, andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita” (Ez 34,16). Ho visto il gregge degli Israeliti in preda al male, l’ho visto finire nella dimora dei demoni, dilaniato da questi come da lupi. E non ho disprezzato quel che ho visto. Infatti sono io il buon pastore: non i farisei che hanno invidia delle pecore, non quelli che stimano un danno per sé i benefici conferiti al gregge, non quelli che si affliggono perché gli altri sono liberati dai mali e che sono addolorati per le malattie guarite. Il morto risorge, e il fariseo piange; il paralitico è risanato e gli scribi si lamentano; al cieco è ridata la vista e i sacerdoti ne sono sdegnati; il lebbroso è risanato e i sacerdoti contestano.
O superbi pastori del misero gregge, che godono delle sue disgrazie! Io sono il buon pastore. “Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10, 11). Il pastore per il suo gregge si lascia condurre alla morte come un agnello: non rifiuta di morire, non contesta, non aggredisce i carnefici. La sua passione non era necessaria, ma accettò volontariamente la morte per le pecore: “La mia vita ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10, 17 18). Espia il male con la sofferenza e rimedia alla morte con la sua morte; annienta i sepolcri col suo sepolcro, strappa i chiodi e abbatte le fondamenta dell’inferno. La morte da tanto tempo teneva il potere, finché Cristo non la colpì; da tanto tempo i sepolcri erano pesanti e il carcere chiuso, finché il Pastore, svincolatosi, portò il fausto annunzio della liberazione alle pecorelle prigioniere. Fu visto negli inferi dare il segnale del ritorno, il segno che dal sepolcro richiamava di nuovo alla vita. “Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10, 11). Per questa via si prepara a stringere amicizia con le pecore. Il Cristo, poi, ama chi accoglie la sua voce con amore» (SAN BASILIO DI SELEUCIA, Omelie 26,2).
Io da giovane temevo di non rispondere alla vocazione sacerdotale, poi temevo di non perseverare. Ora ho paura soprattutto che la mia perseveranza ci sia, ma nella mediocrità. Penso anche che ogni battezzato sia al tempo stesso pecora, ma anche pastore.
Le frasi, che più mi colpiscono, sono quelle in cui vengono delineate reazioni assurde nei confronti dell’agire del Signore da parte di farisei, scribi e sacerdoti. Credo che ognuno di noi debba fare un forte esame di coscienza. Se stiamo attenti, facciamo continuamente esperienza dell’agire di Dio nella nostra vita quotidiana. Ma vi prestiamo la dovuta attenzione? Cogliamo tali doni in vista di una vera e profonda conversione?