Il commento di don Fabio al Vangelo di questa domenica è prezioso perché ci ricorda chi siamo, che cosa dobbiamo cercare di diventare, ci viene indicata la strada per la vera gioia e il vero amore.
XVI domenica del Tempo Ordinario
Mc 6,30-34
«Nella liturgia di questa domenica, prima lettura e Vangelo si illuminano reciprocamente per mezzo dello stridente confronto fra i trasandati pastori di Israele e la cura compassionevole di Gesù verso le folle che lo seguono.
Tutto questo si regge sull’analogia del rapporto fra pastore e gregge, e ha a che fare con una caratteristica delle pecore: sono animali che, per sopravvivere, hanno bisogno di essere pascolati – il pastore per loro non è un optional, è vitale.
Ci sono due dicotomie nel nostro cuore.
La prima è quella di non accettare di essere pecore, ma lo siamo.
Si chiama delirio di onnipotenza, è una deriva dell’animo umano difficile da eradicare. Diceva il Santo Padre in una sua udienza: “Come si passa dalla giovinezza alla maturità? Quando si inizia ad accettare i propri limiti. Si diventa adulti quando ci si relativizza” (FRANCESCO, Udienza generale 13 giugno 2018).
Anche per noi il Pastore non è un optional. La storia mostra che quando l’uomo ha tronfiamente affermato la sua autonomia, ha imboccato la strada dell’auto-distruzione.
La storia del secolo scorso è il racconto di una devastante forza sterminatrice liberata da quei sistemi di pensiero che delimitavano alla ragione umana e alle sue forze il campo della realtà.
Noi abbiamo bisogno di essere curati, accolti, guardati con amore, consolati, consigliati, corretti, istruiti. Abbiamo bisogno di essere perdonati. Senza compassione nessuno sopravvive. Senza misericordia nessun matrimonio può reggere, nessun bambino può crescere felice, nessuna amicizia sarà mai autentica. Lottiamo disperatamente per mostrarci autonomi, ma non lo siamo, e tante persone, prima di arrivare a chiedere aiuto, devono toccare il fondo.
Meglio crepare che mostrarsi limitati e poveri. Ma questa è stupidità pura.
La seconda dicotomia è che tendiamo a farci i fatti nostri, ma siamo felici solo se “pascoliamo” qualcuno.
Non siamo solo pecore, siamo anche pastori.
Nel Vangelo si vede che Gesù non ha neanche il tempo per mangiare, e quando va a tirare il fiato con i suoi discepoli e la gente gli ruba quello spazio, non trova la cosa ingiusta. In un certo senso dimentica di mangiare e di riposare, perché ha compassione della gente.
Sembra sublime e inarrivabile, eppure questo atteggiamento è la nostra verità. Chi dimentica di mangiare? Chi non calcola il proprio riposo? Gli innamorati, i padri, le madri, gli amici, i fratelli. Se c’è stato qualcuno di veramente importante nella nostra vita, per costui o costei abbiamo dimenticato cibo e riposo.
Se c’è una cosa che uno si porta nel cuore è quella notte passata al Pronto Soccorso ad aspettare una notizia su un fratello che aveva fatto un incidente, o su un figlio piccolo che ha avuto un attacco grave di pertosse.
E quando tuo fratello o tuo figlio esce e si è salvato, quella gioia non la scordi più. È diventato tuo fratello o tuo figlio mille volte di più di prima. E quanto ti piace accudirlo. Se un giorno è stato bello nella nostra vita, quel giorno, di sicuro, stavamo pascolando qualcuno. Stavamo amando qualcuno» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 143-145).