Stasera ho pensato di porgervi il commento al brano del Vangelo della s. Messa di ieri, tenendo presente che in questi giorni i passi del Vangelo sono tutti tratti dal “Discorso della montagna”. Quelli di stasera sono pensieri altissimi, che forse possono essere meglio compresi in un clima di vera preghiera, nella docilità allo Spirito Santo e meditando sulla vita dell’autore.
«Si può vincere l’altro, solo lasciando che la sua malvagità si sfinisca in sé, non trovando ciò che cerca, cioè l’opposizione e con questa dell’altro male, al quale infiammarsi sempre più. Il male diventa impotente se non trova alcun oggetto, alcuna opposizione, ma viene subìto e sofferto pazientemente. Qui il male si incontra con un avversario più forte di lui. Certo, però, solo lì dove è annullato anche l’ultimo resto di opposizione, dove la rinuncia a rendere male per male è totale. Il male qui non può raggiungere il suo scopo di generare altro male; resta solo.
La sofferenza passa, se viene accettata. Il male cessa se noi lo sopportiamo senza difenderci. Disonore e diffamazione dimostrano la loro peccaminosità, se il seguace di Cristo non ricambia con la stessa moneta, ma sopporta senza difendersi. La violentazione trova il suo giudizio nel fatto che non si oppone alcuna violenza. L’ingiustizia della pretesa di prendere la mia tunica è messa a nudo lì dove aggiungo anche il mantello; lo sfruttamento del servizio da me reso è messo in luce come tale lì dove io non gli pongo limiti. La disponibilità a cedere tutto a chi ce lo chiede, è la disponibilità ad accontentarsi di Cristo solo e a seguire lui solo. La incondizionata unione del discepolo con il suo Signore, la libertà, la liberazione dal proprio lo si afferma e conferma nella volontaria rinunzia a difendersi. E appunto solo nell’esclusività di questa unione, il male può essere vinto. Il mio atteggiamento non deve essere di discolpa e giustificazione del violento, dell’oppressore; non devo agire come se volessi, col subire passivamente il male, esprimere la mia comprensione per il diritto del malvagio […]. Ma proprio perché è il male ingiustificabile a opporsi al discepolo, il discepolo non deve resistergli, ma subendolo porre fine al male e vincere in questo modo il malvagio. La sofferenza accettata di buon grado è più forte del male, è la morte del male» (DIETRICH BONHOEFFER, Sequela, Brescia 1971, p. 120s.).