Pensiero serale 14-12-2024

Anche in questo sabato vi propongo il commento di don Fabio al Vangelo di questa domenica (Lc 3,10-18), la III di Avvento.

«Una domanda ripetuta martella la prima parte del Vangelo di questa domenica: “Che cosa dobbiamo fare?”. Per Luca, che scrive anche gli Atti degli Apostoli, è una domanda importante: tornerà negli Atti e rappresenterà la reazione feconda alla prima predicazione di Pietro, portando tremila persone al battesimo nel giorno di Pentecoste.
È la domanda di chi si mette in discussione, di chi chiede di cambiare vita. È un atteggiamento umile, e non va mai fatto cadere nel vuoto. Giovanni Battista, infatti, non resta muto, risponde.
Ma quali sono le risposte sbagliate che si possono dare a questa istanza? Si può replicare secondo due polarità opposte: la prima è imporre un compito esagerato, l’altra è non porre alcuna condizione.
Nel primo caso mi chiedi cosa puoi fare, e io ti schianto di richieste, compiti e rinunce. E ti scateno addosso tutta la furia moralista, virus latente del mondo religioso, e ti sommergo con la bile da sacrestia di chi forse non vede l’ora di mettere regole a chi gli capiti a tiro. Ma cosa provoco?
Forse l’altro ci prova ad ascoltarmi, o forse no, ma prima o poi lascerà perdere, mollerà, rinuncerà. E forse lo perdiamo per sempre, perché se questa è la musica…
Oppure ti rispondo con la linea buonista, irenica, che canonizza ogni cosa, e ti dico: niente, fratello mio, vai benissimo così, tutto risolto, non c’è niente da fare. Ma tu mi hai chiesto cosa fare perché hai capito che ti devi mettere in cammino, senti che le cose non vanno, hai percepito un dolore, non sei contento. Se ti rimando a casa così, allora era una barzelletta, io non avevo in realtà niente da dire di importante, la tua vita resta la stessa, dalle mie parti si fanno cose da quattro soldi e non ci torni più.
Al di là del fallimento, c’è una menzogna teologica dietro ad ognuna di queste risposte: nel primo caso è che la salvezza sia imperniata su ciò che fa l’uomo; nel secondo caso che dipenda solo da Dio. False entrambe. Dio non può salvarmi senza che io metta la mia parte; ma la mia parte sarà sempre solo una parte, insufficiente di per sé.
Come risponde Giovanni Battista? Lui non è il Cristo, che arriverà poi, ma affinché la sua salvezza trovi una pista d’atterraggio ci vuole una apertura da parte dell’uomo che passa per le cose possibili. Giovanni situa folle, pubblicani e soldati ognuno nella propria realtà, non chiedendo l’impossibile e neanche niente, ma proponendo qualcosa di serio eppure fattibile, praticabile. Non li scoraggia né li avalla: li mette in cammino.
Qui è il punto: mettersi in cammino partendo dalla lunghezza del proprio passo. Molti nei tempi forti come Avvento o Quaresima partono con programmi di grandi rinunce e finiscono nel nulla. Bisogna sempre iniziare da cose serie ma alla portata. Rinunciare ad un vestito si può fare; non esigere più del dovuto e non estorcere nulla anche.
Si comincia dal possibile e allora arriverà il Messia con l’impossibile. Se parto dal buono, arriverà il sublime. Se parto dall’acqua, arriverà lo Spirito Santo e il fuoco» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico C, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 24-26).

La domanda rivolta al Battista è tra quelle che mi hanno colpito di più da circa 40 anni. Vi ho dedicato tutto il mio studio di teologia morale e ovviamente il manuale. Su questa domanda imposto la mia vita interiore e il mio ministero di parroco. Don Fabio mette in evidenza che Giovanni non chiede l’impossibile. Io rispondo da un lato con la “attuabilità della norma morale” (ne parlo a p. 698 dell’indice analitico del Manuale) e soprattutto ricordando tre passi biblici fondamentali caratterizzati dal “tutto è possibile a Dio”: Gen 18,14; Lc 1,37 e Mt 19,26.