Pensiero serale 14-09-2024

Stasera vi spedisco il commento di don Fabio al Vangelo di questa domenica.

 

«Questa domenica ascoltiamo il caso di Pietro, il quale ha capito che Gesù è il Messia, ma usa questo dato in modo tale da meritarsi l’appellativo di “satana” – che non è il migliore dei complimenti.

L’errore di Pietro non è di non ragionare, ma di farlo “secondo gli uomini” e non “secondo Dio”. E questo è l’inizio di un discorso fondamentale.

Proviamo a pensare che questo Vangelo sia il cammino della conversione da un pensiero troppo umano a un pensiero secondo lo Spirito.

Seguiamone la filigrana.

La prima reazione di Gesù al rimprovera di Pietro è dargli le spalle e dirgli: “Va’ dietro a me”. Non dettarmi la strada, non sono io che seguo te, ma il contrario.

Se l’intelligenza, anziché assecondare la Provvidenza, la vuole governare arriviamo dritti dritti ad Auschwitz o a un Gulag – laddove portano i pensieri che si prendono troppo sul serio. Il Signore chiede di ragionare seguendo il Suo passo, e questo si chiama discepolato. Altro è qualcuno che ragiona imponendo alle cose le proprie visioni, altro è chi è disposto ad apprendere.

E se ci si inoltra nella direzione di seguire Gesù, ecco il grande nemico che si erge: il nostro ego. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso”. Il verbo usato significa smentirsi, dissociarsi da sé. Alcuni psicoterapeuti dicono che l’equilibrio mentale dipende dalla capacità di de-sintonia dal proprio ego. Gesù lo diceva in modo più chiaro duemila anni fa: se vuoi seguirmi fino alla risurrezione, abbandona l’assoluto che sei per te stesso. La via dell’amore è la via della comunione e implica di non vivere in logica centripeta ma relazionale. Come sono simpatiche le persone che sanno relativizzarsi e non scippano continuamente il centro della scena…

Se si ragiona da discepoli che sanno decentrarsi, allora inizia la vera sapienza, quella che sa destreggiarsi bene con la croce. Infatti, a questo punto Gesù dice: “prenda la sua croce e mi segua”. Non dice: “se la becchi”, o “se la tenga”, ma: “la prenda”. Il verbo greco usato implica l’atto positivo di chi afferra una cosa. Noi cristiani usiamo la croce, la valorizziamo. Sappiamo che è un luogo di crescita, perché è il momento in cui ci si fida veramente di Dio, ed è l’occasione per amare fino in fondo. Se mai qualcuno ci ha amato veramente, lo ha fatto nell’occasione in cui eravamo noi la croce, e ha usato quel momento per accoglierci, e non ci ha scansato.

E se uno si serve della croce, allora si fa una scoperta grandiosa: che esistono due vite, una da perdere e una da trovare: “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.

Perdere la propria vita è trovare quella di Cristo, che è più forte del dolore, del rifiuto e della morte, come Lui aveva detto a Pietro.

Noi cristiani sappiamo di andare verso il cielo perché tutte le volte che abbiamo perso la nostra vita per fidarci di Cristo abbiamo trovato una vita più grande che ci aspettava. E così, in forza di questa esperienza, possiamo ragionare secondo Dio» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 170-172).

 

Mi permetto di segnalare quale punto su cui riflettere.

Come e quando cerco il “centro della scena”?

Scelgo la logica centripeta o quella relazionale?

Capisco che cosa significa decentrarsi?

Di una cosa sono certo: che convertirsi non significa necessariamente credere in Dio, andare a Messa e magari confessarsi (posso fare tutto questo e non vivere da discepolo di Gesù), ma consegnare se stessi al Signore, pensare e agire in Lui e con Lui in ogni scelta, in ogni decisione, accettare che il vivere da cristiani è esattamente l’opposto del vivere “mondano”. Preferisco nettamente un ateo serio e onesto a un cristiano che pretenda di accettare stabilmente un triste compromesso.