Nel prossimo Giubileo siamo esortati a coltivare in modo particolarmente intenso la virtù della speranza.
È importanza cogliere due legami della speranza: con la preghiera e con la misericordia.
Chi prega non può non avere una speranza salda perché fondata in Colui che invoca.
Se speriamo, è perché non perdiamo fiducia nella misericordia di Dio e, a partire dall’esperienza della Sua infinita misericordia, non possiamo non relazionarci con i fratelli (anche e soprattutto con coloro che più ci hanno fatto del male) con dolce e paziente misericordia. Penso alla famiglia, alla parrocchia, anche alle relazioni internazionali. Senza una grande misericordia (che ovviamente non può e non deve escludere la giustizia; vi ricordo il Sal 85) davvero ogni speranza scompare.
Perciò stasera vi spedisco una riflessione molto semplice sulla preghiera donataci da un poeta che ha scritto pagine stupende sulla speranza: Charles Peguy (molto amato da Giovanni Paolo I), autore di “Il portico del mistero della seconda virtù”.
Come già altre volte, ecco una premessa di Riccardo Maccioni.
«Lo sappiamo tutti: quando ci sentiamo perduti l’unico rifugio davvero sicuro, la sola persona che non ci abbandona mai, è nostra madre. Vale anche per la vita dello spirito: nei momenti di difficoltà tanti credenti trovano più facile rivolgersi alla Vergine, affidando le loro angosce all’intercessione della Madonna. Spesso anzi, l’Ave Maria, testimonianza di gioia che sperimenta chi si abbandona totalmente a Dio, è l’ultima preghiera che resta sulle labbra di chi fatica a trovare una via d’uscita, nella certezza che la Madre non farà mancare il suo aiuto. Lo sottolinea in questa riflessione Charles Peguy (1873-1914) notissimo poeta e scrittore francese, che fu un cantore appassionato, un autentico innamorato della figura della Vergine» (RICCARDO MACCIONI, Lunedì dello spirito. L’Ave Maria è l’ultimo aiuto, in Avvenire, 21-10-2024).
Ora ecco il pensiero dell’autore francese.
« “Padre nostro che sei nei cieli…”. Tre o quattro parole, ma beato chi si addormenta sotto la protezione di queste tre o quattro parole. Sono le parole che precedono ogni preghiera, come le mani giunte precedono il volto di un orante. Il Padre Nostro è il padre delle preghiere. L’Ave Maria è come un’umile donna. Il regno del Padre Nostro è il regno della speranza: dacci oggi il nostro pane. Ma il regno dell’Ave Maria è un regno più intimo, più segreto, più nascosto. Le preghiere a Maria sono preghiere di riserva. Nel meccanismo della salvezza l’Ave Maria è l’ultimo aiuto. In tutta la liturgia non vi è altra preghiera che possa essere detta veramente dal più miserabile peccatore come l’Ave Maria. Con l’Ave Maria nessuno può dirsi perduto. Signore, al giudizio universale non ci sarà bisogno di memoriali o di certificati. Ma nessuno potrà cancellare la traccia di un Pater o di un’Ave».