Ecco il commento di don Fabio al Vangelo di questa domenica.
XXIII domenica del Tempo Ordinario
Mc 7,31-37
«Il Vangelo secondo Marco è il più antico e il più breve dei quattro. La sua asciuttezza rasenta la parsimonia, usa soppesare assai le parole. Se in un passaggio compare qualcosa di superfluo, va subito notato, perché manifesta un’intenzione forte.
Nel testo di questa domenica c’è una parola aramaica – “Effatà” cioè: “Apriti!” – che deve essere appunto tradotta, segno che gli ascoltatori di Marco non capivano le lingue semitiche. Questa parola è rimasta nei secoli da dire in aramaico nel rito del Battesimo, perché sottolinea un momento essenziale: l’apertura dei sensi. Nel Battesimo si inaugura la vita generata da Dio, quella dell’uomo nuovo, che parte dalla redenzione delle vie della relazione, i cinque sensi. Infatti, esistono, ad esempio, due sguardi, uno umano e uno di fede; ci sono percezioni carnali e percezioni spirituali.
Nella Scrittura c’è gerarchia fra i sensi: senza dubbio il più importante è l’udito, perché rappresenta il nodo fondamentale della relazione. Se ti vedo ma non ti sento, non riesco facilmente a entrare in relazione con te; se invece non ti vedo ma ti sento bene, possiamo dialogare anche profondamente. Dio, infatti, non lo si può vedere ma lo si può ascoltare.
In questo testo si racconta della guarigione di un sordomuto, e la strategia che Gesù usa è la filigrana della redenzione dei nostri sensi. Vediamo i suoi gesti: in primis lo porta in disparte, lontano dalla folla. Per cambiare il modo di sentire, bisogna uscire dal villaggio. Per guarire dalla confusione del mondo, bisogna lasciarsi tirar fuori, altrimenti si ascolta senza personalità, senza essere se stessi.
E Gesù fa due gesti che di per sé non sono un granché estetici: gli infila le dita nelle orecchie e gli mette la sua saliva sulla lingua. Ma le dita sono quelle del Messia, sono le opere che il Padre fa per mezzo delle sue mani. La saliva – il lubrificante della voce – è la parola stessa di Gesù che viene messa sulla sua bocca. Per guarire questo sordo vien messa nelle sue orecchie l’opera di Dio, e per guarire la sua mutezza viene messa nella sua bocca la Parola di Dio. Ascoltando e parlando delle opere di Dio si arriva a nuovi orecchi e nuova parola, si diventa redenti nelle proprie comunicazioni.
Molti aspettano la vita nuova da non so quale tecnica. Altri si trovano a non capire più niente della propria esistenza e vanno a caccia di sapienze umane. Noi sappiamo che l’ascolto e la pronuncia delle Parole di Dio operano il miracolo dell’apertura interiore.
Se ci si trova esistenzialmente sordomuti, ossia soli e nel fallimento comunicativo, inutile provare dall’interno a stappare l’ostruzione. L’ascolto delle opere di Dio e la Parola di Dio sulla bocca – che è, fra l’altro, la preghiera – aprono la via di Dio in noi. Allora si scioglie il nodo della nostra lingua e come nella Pentecoste, sappiamo comunicare secondo Dio.
Lasciamoci portare fuori dal mondo ad ascoltare e ripetere la parola del Signore. Questa è la Chiesa. Questo, molto più di altro, rende uomini nuovi» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 167-169).
Vi do due piste per approfondire.
La prima è meditare sul rapporto tra questo episodio e l’evento di Pentecoste.
La seconda è cogliere bene il legame col brano del Vangelo della s. Messa di ieri (Lc 5,33-39): don Fabio parla di “uomini nuovi”. È importante riflettere sul tema della novità in senso biblico.