Dinanzi all’Eucaristia alcuni non credono, ma forse è terribile anche il rischio di perdere lo stupore, di abituarsi dinanzi a così grande mistero d’Amore. Stasera vi spedisco solo una parte di una meditazione di padre Cantalamessa. Sono sicuro che vi aiuterà a progredire nella gioia e nella gratitudine verso l’infinito Amore di Dio.
«Avevo dato da leggere un mio libretto sull’Eucaristia a una donna con un lungo passato nel campo della scienza e della politica, vedendola interessata al problema religioso. Dopo una settimana, mi restituisce il libro dicendomi: “Lei non mi ha messo in mano un libro, ma una bomba…Ma si rende conto delle enormità delle cose che ha scritto? Secondo lei basterebbe aprire gli occhi per scoprire che c’è tutto un altro mondo intorno a noi; che il sangue di un uomo morto duemila anni fa ci salva tutti. Lo sa che nel leggerlo – cosa mai successa -, mi tremavano le gambe e che dovevo ogni tanto smettere e alzarmi? Se questo è vero, cambia tutto…
Ma più che le parole era il suo sguardo e il tono della voce a comunicarmi un senso di stupore quasi soprannaturale. Nell’ascoltarla, insieme con la gioia di vedere che il seme non era caduto sulla strada, provavo un grande senso di umiliazione e di vergogna. Io avevo ricevuto la comunione poco prima, ma non mi tremavano le gambe. Capivo quanto siamo esposti, noi cristiani, al rischio di prendere le cose enormi in cui crediamo alla leggera, a darle per scontate e quindi a banalizzarle. Ecco, mi dicevo, cosa dovrebbe provare uno che prendesse l’Eucaristia sul serio. Mi tornava in mente quello che un ateo disse un giorno a un amico credente: “Se io potessi credere che in quell’ostia c’è veramente il Figlio di Dio, come dite voi, credo che cadrei in ginocchio e non mi rialzerei più”. L’ho salutata sulla porta dicendole: “Lei mi ha dato oggi una bella lezione di teologia e la ringrazio. Uno che non aveva fatto l’abitudine all’Eucaristia e ne parla sempre con commosso stupore era S. Francesco d’Assisi. “Udite, fratelli miei – scriveva in una lettera ai suoi frati-: se la beata Vergine è così onorata, come è giusto, perché lo portò nel suo santissimo seno; se è venerato il sepolcro nel quale per qualche tempo egli giacque; quanto deve essere santo, giusto, degno, colui che lo accoglie nelle proprie mani, lo riceve nel cuore e con la bocca e lo offre agli altri perché lo ricevano? Gran miseria sarebbe e miserevole male, se, avendo lui così presente, vi curaste di qualunque altra cosa che fosse nell’universo intero! L’umanità trepidi, l’universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull’altare, nelle mani del sacerdote, è il Cristo Figlio di Dio vivo…O ammirabile altezza e degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi sotto poca apparenza di pane!” (Lettera a tutto l’Ordine). […]
Un giorno un bambino assisteva alla Messa con i suoi genitori. Come tutti i bimbi non faceva che muoversi e far rumore e il papà a fargli cenni e occhiacci per farlo stare buono. Giunti alla consacrazione il padre gli fa capire che adesso deve proprio star buono. Lui si ferma e ascolta. Quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione il bambino scoppia a piangere e piange forte, fino alla fine. Usciti di chiesa i genitori mortificati gli chiedono perché piangeva a quel modo e lui: “Ma non avete sentito anche voi che c’era uno che stava morendo, che parlava del suo sangue?”. Quel bambino aveva capito più di tutti. Alle sue orecchie quelle parole: “Prendete, mangiate; prendete bevete. Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue”, non erano sciupate dall’uso» (Cantalamessa Raniero, Gettate le reti. Riflessioni sui Vangeli. Anno B, Piemme, Casale Monferrato, 2002, pp. 161-165).