In questa domenica, dopo la lunga e ricca parentesi dedicata al capitolo VI del Vangelo secondo Giovanni, torniamo al Vangelo secondo Marco. Vi dono il commento di don Fabio. Forse è ancora più impegnativo del solito. Va letto e meditato lentamente e ripetutamente. Tratta temi di grandissima attualità.
XXII domenica del Tempo Ordinario
Mc 7,1-8.14-15.21-23
«Nel Vangelo di questa domenica c’è una descrizione quasi grottesca della cura per i rituali religiosi da parte degli osservanti delle norme della tradizione. È facile guardare da estranei a questa immagine. Ma sotto a quella ottemperanza rituale c’è un impulso che va capito meglio. È il faticoso, infinito, irrisolvibile tentativo di aggiustare se stessi, di migliorare la propria immagine di sé.
Questa è una fatica latente in molte cose che l’uomo ha sempre fatto, e oggi come oggi siamo in una fase delirante di questa tortura. Capiamoci: al tempo di Gesù c’erano i farisei delle regole religiose, e il centro della loro ossessione era l’idea di sé sotto il punto di vista della propria giustizia personale.
Oggi abbiamo altri farisei, quelli che hanno come ossessione il proprio aspetto, la propria immagine fisica. La fatica diventa quella del proprio look o della propria salute, secondo gli orientamenti di una “religione”, quella del corpo. Bello o sano che debba essere, impone rituali, cure, negazioni, sacrifici. E nessuno ne è veramente esente.
Giustizia o estetica, o altro ancora, il nocciolo qual è? Quello di passare la vita ad aggiustarsi. Alla fin fine è l’angoscia di non sentirsi mai del tutto a posto…
Un fariseo si torturava nella paura di essere impuro e ingiusto; oggi ci tormentiamo con l’idea di non essere gradevoli o di non essere sani. Ci sono persone belle come il sole che si crucciano come adolescenti tutta la vita perché non sono perfette, e ci sono persone che hanno la salute di una qualità riservata solo a una piccola percentuale di umanità che vanno di terapia in terapia, a caccia del prossimo procedimento salutista.
Il serpente, quando tentò Eva, le disse: “Se mangi di questo albero sarai come Dio” – surrettiziamente le ha detto in realtà: “Se resti come sei, sei di serie B, devi cambiare te stessa”. E cosi l’uomo si porta questa disarmonia interiore, il percepirsi reconditamente mal fatto.
E come fa a sopravvivere? Impegnando le sue forze, con “precetti di uomini”, con opere umane.
Ma c’è qualcosa di vero in quella oppressione interiore: è vero che l’uomo è incompleto. Eppure, l’incompletezza non ci è data per la frustrazione, ma per l’apertura all’altro e soprattutto a Dio.
Cosa c’è da conseguire? La propria giustizia? L’estetica? La salute? Tutte preoccupazioni per se stessi. Il nostro vero problema è un cuore storto e chiuso che produce “i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”. Ossia la mancanza di amore.
Quando i farisei di ieri e di oggi smettono i rituali ossessivi dell’ego e accolgono il loro cuore malato, allora diventano terra fertile per l’amore di Dio.
Quando si accetta di essere incompleti e imperfetti al fine di accogliere la misericordia, ecco che Dio può carezzare il nostro cuore povero.
Nel nostro testo i discepoli di Cristo non seguono il rituale dell’ossessione farisaica. Non ne hanno bisogno. Hanno trovato l’amore» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 164-166).
Mi pare che l’argomento di fondo sia l’incompletezza. Possiamo affrontarla in un modo sapiente o in un modo stolto. Conta lasciarsi consolare, accarezzare e guarire dal Signore.