Ritengo che il brano del Vangelo della s. Messa di oggi (Mt 7, 21-29) sia tra i più esigenti, impegnativi e complessi. Ci dona numerosi spunti per la riflessione, ma soprattutto per la verifica personale. È un brano importante anche perché costituisce la conclusione di uno dei discorsi più rilevanti pronunciati da Gesù: il discorso della montagna (cap. 5-7 del Vangelo secondo Matteo). Vi do il commento di uno dei teologi che stimo e ammiro di più. Sono consapevole che neanche tale commento è molto facile, anzi richiede tanta preghiera, approfondimento e attenzione. Come sempre, sono a disposizione per chi ha bisogno di ulteriori chiarimenti. Resto del parere che non è tanto questione di cultura né di intelligenza, ma di sapienza, di docilità allo Spirito Santo e di vera comunione con Lui. Sono certo che i principali nemici della meditazione e della vita cristiana sono la superficialità e la presunzione.
Voglio, infine, precisare che in questo commento il “verbo “confessare” non ha nulla a che fare col sacramento della Penitenza (= “confessare i peccati”), ma significa “professare apertamente, dichiarare pubblicamente”.
«La separazione che opera la chiamata di Gesù è ancora più profonda. La divisione, dopo aver separato mondo e comunità, cristiani di nome e cristiani veri, penetra nella schiera di coloro che si confessano discepoli. L’apostolo Paolo dice: “Nessuno può dire che Gesù è suo Signore se non per lo Spirito Santo” (1 Cor 12,3). Nessuno, per proprio ragionamento, per forze e decisioni proprie, può affidare la sua vita a Gesù, nessuno riconoscerlo suo Signore. Ma qui vien considerata la possibilità che ci sia chi chiama Gesù suo Signore senza lo Spirito Santo, cioè senza aver sentito la chiamata di Gesù. Il che è tanto più inconcepibile se si considera che a suo tempo chiamare Gesù Signore non fruttava nulla in terra; anzi, era una confessione che esponeva ai massimi pericoli.
Dire “Signore, Signore” è la confessione della comunità. Non tutti quelli che la pronunciano entreranno nel regno dei cieli. La divisione passerà proprio in mezzo alla comunità confessante. La confessione di fede non dà nessun diritto a Gesù. Nessuno potrà mai richiamarsi alla sua confessione di fede. Il fatto di essere membri della chiesa dalla confessione giusta non permette di avanzare pretese di fronte a Dio. Non saremo beati in base a questa confessione.
Gesù qui manifesta ai suoi discepoli la possibilità di una fede satanica, che si richiama a lui, che compie opere meravigliose, simili fino all’irriconoscibile alle opere dei veri discepoli di Gesù, opere in amore, miracoli, forse anche autosantificazione, e che pure ha rinnegato Gesù e il cammino al suo seguito. Lo stesso dice l’apostolo Paolo sulla possibilità di predicare, profetizzare, avere ogni conoscenza, anzi, ogni fede tanto da poter trasportare monti, ma senza amore, cioè senza Cristo, senza lo Spirito Santo. Anzi, ancor più: Paolo deve persino considerare la possibilità di compiere le opere d’amore cristiano, di dare i propri beni, fino al martirio… senza amore, senza Cristo, senza Spirito Santo» (DIETRICH BONHOEFFER, Sequela, Brescia 1971, p. 171; 173).