Il pensiero di stasera è piuttosto lungo e certamente impegnativo. Vi raccomando di meditarlo in modo lento e prolungato per non perdere la sua ricchezza.
« “Una donna che soffriva d’emorragia”.
L’incontro con gli altri avviene in vari modi, dalla semplice stretta di mano all’intimità. La donna ammalata crede che il semplice contatto con Gesù possa avere un potere speciale. Origene vede in questo episodio il simbolo dei nostri primi incontri con Cristo che ci parla attraverso la Sacra Scrittura.
Quando leggiamo i testi, all’inizio non li comprendiamo, almeno non in senso spirituale. Decifriamo solo il senso esterno delle parole, in modo superficiale. E come se anche noi toccassimo solo la veste di Cristo. Ma già in questo primo contatto si manifesta la forza divina. Anche se il senso profondo delle parole divine rimane nascosto, la lettura comincia a santificarci. Lentamente, progressivamente, comprendiamo anche il senso nascosto, e così il contatto esterno con Gesù si trasforma in un discorso intimo.
Quello che succede con la lettura della Sacra Scrittura avviene anche nelle altre forme di devozione della vita ecclesiale. I gesti esterni, che all’inizio sembrano vuoti rituali, a poco a poco acquistano un senso interiore che ci mette in contatto intimo con Gesù.
“Mia figlia è morta proprio ora; ma se vieni…essa vivrà”.
La donna che soffre di emorragia tocca Gesù, e Gesù tocca la figlia di Giairo per resuscitarla. Anche qui Origene ha una spiegazione simbolica. Accostandoci alla lettura della Sacra Scrittura, accediamo a toccare Cristo, nascosto dentro le parole.
Nella seconda parte della liturgia, quando celebriamo l’Eucarestia, Cristo viene in mezzo a noi sotto forma del pane e del vino. Il suo contatto risuscita anche noi dai morti, assicurandoci l’immortalità, la vita eterna. Succede cioè quello che Gesù ha detto: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51).
Sant’Ignazio di Antiochia parlava dell’Eucarestia come antidoto contro la morte. Egli viveva in un paese, la Siria, abitato da famosi medici che curavano ogni malattia con le erbe medicinali. Ma non avevano trovato la medicina contro la morte. Sant’Ignazio d’Antiochia, secondo la tradizione, era il bambino che Gesù portava come esempio agli apostoli, e sicuramente è stato discepolo di san Giovanni Evangelista. Egli diceva ai medici del suo paese che i cristiani avevano già trovato la medicina contro la morte: l’Eucarestia, il Corpo di Cristo che viene sui nostri altari.
“Non è morta, ma dorme”.
Il contatto con Gesù trasforma la morte in sonno: qui della figlia di Giairo e più tardi di Lazzaro (Gv 11, 11) Gesù dice che dormono. Quelli che affollano la casa di Giairo lo deridono, quelli che seguono il funerale di Lazzaro non lo capiscono. Allora nessuno diceva di un morto: riposa in pace.
C’è una somiglianza fra il sonno e la morte. Nel sonno uomo vive, ma perde il contatto con il mondo; non vede, non sente, eppure brandelli della sua vita, ricordi, desideri emergono nei suoi sogni. Questo sonno, che sembra morte, interrompe il contatto con l’esterno, ma non distrugge la vita.
Il giudizio divino è un po’ come il sonno: affiora tutta la vita trascorsa, messa a confronto con il desiderio fondamentale dell’uomo, la salvezza dell’anima. La morte allora è davvero un sogno nel quale Dio si rivela. Come da un sogno ci risvegliamo a un nuovo giorno, così anche Cristo ci risveglierà per la vita eterna, quando verrà nell’ultimo giorno a toccarci con il suo potere» (ŠPIDLÍK TOMÁŠ, Il vangelo di ogni giorno. Riflessioni sul vangelo feriale. Vol. III, Lipa, Roma 2001, pp. 191-193).
L’autore di questo commento, che già altre volte vi ho segnalato, è un grande autore di teologia spirituale. Nel commentare il Vangelo della s. Messa di oggi (“parallelo” a quello di otto giorni fa) si rifa’ a sua volta a due grandi autori: Origene e Ignazio di Antiochia, e tratta due temi molto importanti: il cammino graduale nella fede e il parallelo “sonno / morte”.
Mi pare bellissimo definire l’Eucaristia come “medicina contro la morte”.
Tutto deve mirare a un contatto intimo con Gesù. Lo desidero davvero? Ho almeno percepito che non c’è nulla di più importante?