Il brano dell’omelia di papa Wojtyla, che vi spedisco stasera, non è molto lungo, ma è molto profondo. Parla anzitutto della solidarietà sia nel bene sia nel male, sia nel peccato sia nella salvezza (io tratto questo tema piuttosto arduo alla fine dell’XI capitolo del Manuale). È vero che Gesù ribadisce la responsabilità personale nel peccato (cfr. Gv 9,1-3. Pensiamo anche a Ger 31,29-30 e a Ez 18), ma è vero però anche che c’è una profonda solidarietà che unisce tutti gli uomini.
Se mi rendo conto di questo, capisco meglio perché martedì scorso ci sia stato rivolto un appello ben preciso all’adorazione eucaristica comunitaria per invocare il dono della pace.
Poi il Papa passa a descrivere i mali degli ultimi secoli. Mi colpiscono molto i cenni all’indifferenza (io sono sicuro che questo è uno dei mali maggiori, perciò io soffro molto nel vedere persone che si accontentano di osservare il precetto domenicale, senza tentare un minimo progresso nella vita spirituale e nella dimensione comunitaria parrocchiale) e alla “concezione impersonale di Dio”. Mazzini – tanto per fare un esempio – parlava di un dio, che era tutt’altra cosa rispetto alla ss. Trinità.
«I tre secoli passati ci permettono di misurare l’importanza del messaggio affidato a Claudio La Colombière. In un periodo di contrasti tra il fervore di alcuni e l’indifferenza o l’empietà di molti, si presenta una devozione centrata sull’umanità di Cristo, sulla sua presenza, sul suo amore di misericordia e sul perdono. L’appello alla “riparazione”, caratteristica di Paray-le-Monial potrà essere diversamente capito, ma, essenzialmente, consiste nel fatto che i peccatori, che sono tutti gli uomini, tornino al Signore, toccati dal suo amore, e di offrirgli una più viva fedeltà per l’avvenire, una vita accesa di carità. Se c’è solidarietà nel peccato, c’è solidarietà anche nella salvezza. L’offerta di ciascuno è fatta per il bene di tutti. Sull’esempio di Claudio La Colombière, il fedele capisce che una simile attitudine spirituale può essere solo l’azione di Cristo in lui, manifestata dalla comunione eucaristica: accogliere nel proprio cuore il Cuore di Cristo e unirsi al sacrificio che solo lui può offrire degnamente al Padre.
La devozione al Cuore di Cristo sarà un fattore di equilibrio e di rafforzamento spirituale per le comunità cristiane preda della miscredenza, che progredirà nei secoli seguenti: si diffonderà una concezione impersonale di Dio; l’uomo, allontanandosi dall’incontro personale di Cristo e delle sorgenti della grazia, vorrà essere il solo maestro della sua storia e si darà da sé la sua legge, fino a mostrarsi impietoso per servire le sue ambizioni. Il messaggio di Paray, accessibile agli umili così come ai grandi di questo mondo, risponde a tali smarrimenti illuminando la relazione dell’uomo con Dio e dell’uomo con il mondo attraverso la luce che viene dal Cuore di Dio: conformemente alla tradizione della Chiesa, egli orienta lo sguardo verso la Croce del Redentore del mondo, verso “Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37)» (Giovanni Paolo II, Omelia, 31 maggio 1992).
Vi segnalo infine un’altra espressione: il Papa parla di azione di Cristo nel fedele. Io nella mia vita spirituale cerco di cogliere e di assecondare tale azione del Signore? Chi vuol tentare un minimo di progresso nella vita interiore potrebbe pensare al “diario spirituale”, in cui può annotare quando osserva tale azione del Signore e quindi cerca di essere docile verso tale azione. Ecco la differenza tra un dio impersonale e un Dio che in Persona entra ogni giorno nella mia vita …se me ne accorgo! E soprattutto se mi interessa e se accetto di lasciarmi mettere in discussione e magari …in una crisi salutare.