Il brano del Vangelo di questa domenica mi sembra più complesso del solito, quasi misterioso. Sono molto ricche e intense anche le due letture. Stasera, come al solito, vi spedisco il commento di don Fabio Rosini al Vangelo. Di questo commento mi colpisce soprattutto l’inizio. Ho pensato a quanti giovani hanno “il cambio in folle” e sembrano “viti spanate”.
XXV domenica del Tempo Ordinario
Mt 20,1-16
« “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?›”.
Come mai la gente può vivere senza consistenza e nell’inconcludenza? Tanti giovani con il cambio in “folle”, spingi sul gas ma la macchina resta ferma, tante persone come viti spanate, giri ma non succede niente. Perché?
La domanda del padrone della parabola sugli operai nella vigna sembrerebbe alludere a un rimprovero, lo stesso che troviamo sulla bocca degli operai della prima ora: “Hanno lavorato un’ora soltanto e… noi… abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Proviamo a leggere con una prospettiva meno fredda questa parabola: “Lavorare o non lavorare” è uguale a dire “impegnarsi o no” o non piuttosto “avere di che sfamare i propri figli oppure no”?
La fatica del lavoro è un peso, certamente; ma è una fatica che segnala la condizione dignitosa di chi ha qualcosa di cui vivere.
Il dramma della disoccupazione ha due aspetti: quello economico e quello, non meno tragico, della dignità. Quel che fa soffrire un disoccupato non è solo che non può procurarsi di che vivere, ma anche patire l’umiliazione dell’inutilità. Vedere che nessuno ha bisogno di me, non servo a nulla.
L’amarezza degli anziani è la percezione di non essere richiesti, che non si abbia necessità di loro.
Avere un lavoro è una cosa grande, è il primo dono di Dio all’uomo: “Facciamo l ‘uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo…” – il verbo “dominare” in realtà, in ebraico, vuol dire “governare, amministrare”. È una dimensione che deriva dalla somiglianza con Dio, è qualcosa di celeste che ci abita dentro, ci nobilita e ci realizza, portandoci a costruire tutto il bene che c’è.
Come mai qualcuno non fa niente? Ecco la risposta dei disoccupati della parabola: «Perché nessuno ci ha presi a giornata» (alla lettera, “assunti a salario”).
Il fenomeno di un numero crescente di giovani che non cercano lavoro è la condizione di anime senza salario, senza qualcuno che metta in relazione la fatica con un risultato, con un riscontro, con una utilità. È il non senso.
Che sorte benedetta quella di poter lavorare, faticare, spendersi e stancarsi per qualcosa di valido. Essere presi a lavorare per il migliore dei padroni, che sa dare la paga di un giorno che è oggi, che è il senso della vita, per farci fare cose tanto belle, le Sue opere. San Paolo dice: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone” (1Cor 9,16), ossia: servire il Signore non mi dà diritti da accampare ma assolve le mie necessità, mi risolve. Non io servo Lui, quando faccio la sua volontà, ma il contrario.
Ecco il non senso: non conoscere la ricompensa di questo padrone, e restare indefiniti, aspettando qualcuno che dia la vera ricompensa al nostro cuore.
Questo non è un problema di giustizia.
Se qualcuno, nella Chiesa, rimbrotta chi lavora poco per il Signore non ha capito la propria sorte benedetta: l’alternativa è fra la santa fatica della sua volontà e il vuoto» (Rosini Fabio, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico A, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 194-196).
Papa Francesco ha commentato questa parabola esortandoci a uscire per aiutare chi cerca il Signore. Vi confido che ho meditato questo brano del Vangelo alla luce del mio recente pellegrinaggio. Le persone che ho avuto l’immenso dono di conoscere erano proprio persone che cercavano il Signore e volevano lavorare con sempre maggiore impegno e dedizione nella sua vigna. La scelta è semplice: nella Chiesa oppure fuori, ma nella Chiesa non si può essere semplici spettatori o fruitori di sacramenti, servizi e certificati …magari a pagamento!