12-09-2023

Stasera vorrei rispondere solo a una delle obiezioni di cui ho parlato ieri:

 

«Perché Dio ci tiene tanto a che facciamo la sua volontà? Il Signore ci dice: chi mi ama osserva i miei comandamenti (cfr. Gv 14,21). È come se un giovane dicesse alla sua fidanzata: se mi vuoi bene, devi fare ciò che ti dico».

 

Questa obiezione, in realtà, non è mia, ma l’ha fatta già quasi 18 anni fa papa benedetto. Spero che tutti abbiate letto (o almeno abbiate il proposito di farlo) la sua stupenda prima enciclica, la “Deus Caritas est” (da ora DCE). Egli disse:

 

«L’amore non si può comandare; è in definitiva un sentimento che può esserci o non esserci, ma che non può essere creato dalla volontà» (DCE 16)

 

Ecco come rispose a tale obiezione:

 

«L’amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’amore. […] È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tutte le potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza» (DCE 17).

 

Papa Ratzinger proseguì mettendo al centro una visione integrale dell’uomo (cioè non ridotto solo a istinto o sentimento) e soprattutto evidenziò l’importanza dell’incontro con Dio, col suo Amore. Io aggiungerei che l’amore verso Dio non è una norma estrinseca semplicemente grazie al grande evento della Pentecoste.

 

L’incontro con Dio «chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai  “concluso” e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle — volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l’abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia (cfr Sal 73 [72], 23-28)» (DCE 17).

 

Ovviamente non posso non porre qualche interrogativo. Che ruolo ha il mistero di Pentecoste nella mia vita (anche a livello coniugale e familiare)? Come aiuto i miei figli, insieme col mio coniuge, a impostare in questo modo il rapporto con Dio? Aiuto i miei figli a fare un confronto costante tra questo modo di intendere l’amore e come invece l’amore è proposto dalla cultura attuale?