Continuando a meditare sul discorso del Papa del 9 aprile 2008, ci addentriamo nell’esperienza di san Benedetto. Ci viene spiegato perché san Benedetto si trasferì da Subiaco a Montecassino, passando così dall’esperienza eremitica (Subiaco) a quella cenobitica (Montecassino). Poi Papa Ratzinger ci parla dell’esperienza di preghiera, del rapporto tra preghiera e azione, dell’importanza dell’umiltà e dell’obbedienza.
Penso che il punto fondamentale sia il contrasto totale tra “una autorealizzazione facile ed egocentrica” e il primato di Dio: Lui va cercato con tutte le proprie forze. Io sono certo che tutta la nostra vita debba consistere in questo e nell’aiutare i nostri fratelli a distaccarsi dal moderno modo di pensare e di vivere per aderire al Vangelo con dedizione piena.
«Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. […] Questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.
Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio» (Benedetto XVI, Udienza generale 9-4-2008).
Ritengo prezioso questo discorso di papa Benedetto anche perché siamo aiutati a conoscere la Regola di san Benedetto (i numeri tra parentesi corrispondono ai vari capitoli della stessa Regola). Come sempre, se qualcosa non è chiaro, potete chiedere a me, ma non sarebbe sbagliato procurarsi in una libreria o biblioteca qualche testo per approfondire…
Resto del parere che l’esperienza migliore sarebbe vivere alcune giornate nella foresteria di un monastero benedettino. L’importante è passare dai pii propositi ai fatti concreti!