Pensiero serale 14-06-2024

Stasera voglio continuare la riflessione, iniziata ieri, ancora sulla differenza tra ira e sdegno e sempre con l’aiuto di monsignor Ravasi, che parte da un pensiero di un grande maestro di etica dell’antichità, stimato immensamente da san Tommaso d’Aquino.

«Adirarsi è facile, ne sono tutti capaci, ma non è assolutamente facile e soprattutto non è da tutti adirarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa» (ARISTOTELE, Etica a Nicomaco, n. 1109).

Commenta monsignor Ravasi:

«Ira, collera, rabbia, furore, stizza, sdegno, indignazione sono vocaboli spesso usati come sinonimi, senza badare più di tanto alle sfumature dei loro significati. Si delinea, così, il primo dei vari vizi capitali, quelle malattie dell’anima codificate da un antico elenco tradizionale in un settenario. In realtà, […] è necessario operare alcune distinzioni, al punto tale che se la rabbia cieca e furibonda è un vizio pericoloso e persino deleterio, lo sdegno contro l’ingiustizia, la violenza e il male può essere invece una virtù. Una virtù praticata dai profeti e dallo stesso Cristo (Cf Is 5, 8-25 e Mt 23, 1-33). “Serpenti, razza di vipere” non è solo un urlo del Battista ma è anche una frase ripresa da Cristo nella sua denuncia dell’ipocrisia di scribi e farisei. Se, allora, bisogna saper controllare e comprimere il ribollire bestiale dell’ira che trabocca scoppiando e che è ben raffigurato dalle immagini della bava alla bocca, della voce strozzata e del digrignare dei denti, come si è soliti dire, è necessario però saper coltivare e vivere lo sdegno che si appunta contro coloro che operano il male e contro le strutture inique. Sempre, però, come ricorda Aristotele, “nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa”. E questo non è né poco né facile da praticare; è tuttavia necessario, se non si vuol cadere nella rabbia pura e semplice» (GIANFRANCO RAVASI, Mattutino. La giusta ira, in Avvenire, 18-9-2003, p. 1).

Anche stavolta voglio concludere con una mia piccola riflessione. Ho sperimentato che, per non “perdere” la pace dinanzi alle contrarietà di ogni genere, possono essere utili due atteggiamenti: gustare in modo costante e intenso la presenza del Signore nel profondo della nostra anima e non perdere mai la certezza che la storia è nelle mani di Dio.