Io ho ovviamente il massimo rispetto verso chi è ateo, verso chi non crede nel grande miracolo dell’Eucaristia, ma resto molto perplesso per lo stupore di chi sente la mia amarezza per coloro che definisco “cattolici del sabato sera o della domenica”. In altre parole, io capisco (e mi fanno pena) coloro che non hanno accettato l’immenso dono della fede e dell’Eucaristia, ma provo maggior dolore per coloro che pensano di credere in Gesù e nella s. Messa e si accontentano di “pagare” la “tassa” della s Messa settimanale. Forse il pensiero, che vi spedisco stasera, vi aiuterà a capire meglio quanto vi sto comunicando.
Molti di voi conosceranno, spero, l’esperienza di cui vi parlo stasera. Viene descritta la sofferenza… gioiosa di un Vescovo che è stato in carcere per tredici anni.
«Quando nel 1975 sono stato messo in prigione, una domanda angosciosa si è fatta strada in me: “Potrò ancora celebrare l’Eucaristia?”. Al momento in cui è venuto a mancare tutto, l’Eucaristia è stata in cima ai miei pensieri: il Pane di vita. “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). In tutti i tempi e in modo speciale in tempi di persecuzione, l’Eucaristia è stata il segreto della vita dei cristiani: il cibo dei testimoni, il pane della speranza. Eusebio di Cesarea ricorda che i cristiani non tralasciavano di celebrare l’Eucaristia neppure in mezzo alle persecuzioni: “Ogni luogo dove si pativa divenne per noi un posto per celebrare… fosse un campo, un deserto, una nave, una locanda, una prigione” […].
Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L`indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio… Ho scritto: “Per favore, mandatemi un po’ di vino, come medicina contro il mal di stomaco”. I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l’etichetta: “medicina contro il mal di stomaco”, e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l’umidità.
La polizia mi ha domandato: “Lei ha mal di stomaco?”. “Sì”. “Ecco, un po’ di medicina per lei”. Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d’acqua sul palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! Era la vera medicina dell’anima e del corpo: “Medicina dell’immortalità, antidoto per non morire ma per avere sempre la vita in Gesù”, come dice Ignazio di Antiochia. Ogni volta avevo l’opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. Ogni giorno, recitando le parole della consacrazione, confermavo con tutto il cuore e con tutta l’anima un nuovo patto, un patto eterno fra me e Gesù, mediante il suo sangue mescolato al mio. Erano le più belle Messe della mia vita» (FRANÇOIS-XAVIER NGUYEN VAN THUAN, Testimoni della speranza. Esercizi spirituali tenuti alla presenza di S.S. Giovanni Paolo, Roma 2000, pp. 165-168).