In un certo senso ora comincia la parte più interessante della vicenda di Davide. Martini in modo molto acuto prima ci aiuta a capire in profondità in cosa era consistito l’errore del re e poi ci mostra come è intervenuto il Signore nella sua vita in tale situazione. Ovviamente ciò che conta è che ognuno – soprattutto in questa fase finale della Quaresima – si ponga dinanzi al passo biblico e rifletta sulla propria vita, lasciandosi illuminare dal Signore in modo da ascoltare cosa Egli gli chiede in questo preciso momento per mettere ordine nel proprio cuore e nella propria esistenza
«Dio guida Davide verso il pentimento:
2 Sam 12, 1-14
Il capitolo 11 termina con una parola che capovolge la situazione: “Ma l’azione che Davide aveva commesso dispiacque al Signore” (v. 27b).
In realtà, il re si era dimenticato completamente di Dio e dei canti che aveva composto: “Mio Dio, tu sei il mio Dio… ho sete di te… Tu sei la mia roccia, la mia difesa”.
In tutta questa storia angosciante, non si dice che abbia mai pregato. Non gli è mai venuto in mente di chiedere: Signore, aiutami tu a venirne fuori!
Riteneva che il problema fosse solo suo e che nessuno, nemmeno Dio, potesse aiutarlo. Davide si era dunque molto allontanato da quello spirito di fede, di umiltà, di abbandono, che era il suo. Probabilmente, anzi, aveva pensato: Il Signore mi ha lasciato entrare in questo pasticcio, non è più con me.
Il peccato l’ha condotto alla confusione, all’aridità, alla tristezza. Un piccolo disordine coltivato l’ha portato a commettere un errore dietro l’altro.
Con il capitolo 12, Dio riprende il filo della storia: “Il Signore mandò il profeta Natan da Davide” (v. 1). Se non l’avesse mandato, Davide sarebbe rimasto per tutta la vita nella convinzione di aver scelto la sola via possibile.
Il Signore però vuole l’ordine, la pace, la verità, secondo le parole del Salmo: “Tu ami la verità nel profondo dell’essere” (Sal 51,8).
Il racconto continua con una parabola che, a poco a poco, ricostruisce la verità in Davide: “Vi erano due uomini nella stessa città, l’uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in abbondanza. Il povero non aveva altro che una pecora, una sola, piccola, che aveva comperato. Egli la nutriva ed essa cresceva con lui e con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo nella sua coppa, dormendo sul suo seno; era come una figlia. Un ospite si presentò dall’uomo ricco, che risparmiò di prendere dal suo bestiame per preparare da mangiare al viaggiatore arrivato. Egli rubò la pecora dell’uomo povero e la preparò per il suo visitatore” (12, 1-4).
La narrazione è semplice, un po’ ingenua, perché descrive una situazione estrema.
Davide ritorna se stesso. Dio lo libera facendo presa, nella sua infinita bontà e finezza psicologica, sui suoi sentimenti migliori: la lealtà, il bisogno di difendere la giustizia. Non viene rimproverato, come faremmo noi in un caso del genere. Se Natan l’avesse accusato probabilmente avrebbe trovato delle giustificazioni. L’appello non è rivolto a Davide peccatore, bensì a Davide giusto, leale, e per questo riesce: “Davide entrò in grande collera verso questo uomo e disse a Natan: “Com’è vero che il Signore vive, l’uomo che ha agito così merita la morte”, e preoccupandosi della giustizia aggiunge:
“Pagherà quattro volte il valore della pecora per aver commesso questa azione e non aver avuto pietà (vv. 5-6).
Adesso il momento è delicatissimo: che cosa dirà Natan? Avrà il coraggio di parlare? Sappiamo per esperienza come è difficile dover affrontare certe situazioni e come spesso ci manca il coraggio della verità.
“Natan disse allora a Davide: ‘Tu sei quell’uomo! Così parla il Signore Dio d’Israele: Ti ho unto come re di Israele, ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone, ho messo tra le tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda e se questo fosse poco aggiungerei per te qualsiasi cosa. Perché hai disprezzato il Signore e hai fatto quello che gli dispiace?” (vv. 7-9).
Davide è colpito fortemente e confessa a Natan che gli ha annunciato il castigo di Dio: “Ho peccato contro il Signore!” (v. 13). Ora riprende tutta la sua statura spirituale, esce dall’incubo terribile e ritrova quella che sarebbe stata la via di uscita più semplice, più ovvia: rinunciare alla rispettabilità per affermare il supremo valore di Dio. Avendo voluto difendere il privilegio di re è entrato in una serie di menzogne, di infedeltà fino all’omicidio. La sua ammissione nasce da un cuore umiliato e sincero e Natan gli dice che il Signore lo perdona, risparmiandogli la morte. Invece morirà il bambino nato da Betsabea» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, pp. 72-75).
È bene riflettere sul fatto, evidenziato molto bene da Martini, che Davide non pregava. Quante persone oggi, travolte da lavoro, problemi, occupazioni, affermano di non avere il tempo di pregare o di non saper pregare.
Inoltre, è bene riflettere sul rapporto tra peccato e tristezza. Io sono certo che tutti cerchiamo la gioia e – anche peccando – cerchiamo una forma di gioia, di piacere, di soddisfazione, ma il peccato, una volta commesso, delude sempre, genera tristezza, perché solo nel Signore c’è l’unica vera gioia, sempre insieme con la pace, che solo Lui può donare.
È fondamentale riflettere sulla citazione del Salmo 51,8; Martini riporta queste tre parole: “verità”, “profondo” ed “essere”. Io aggiungerei: silenzio e solitudine; esattamente il contrario dell’estroflessione e della superficialità oggi tanto diffuse. C’è il culto del look, dell’apparire. Vi invito a riflettere sulla svolta nella parabola del figliuol prodigo: Lc 15,7.
Dio agisce con Davide tramite il profeta Natan. Io nella mia vita ascolto qualche “Natan” che mi sappia guidare o svegliare? In altre parole, ho un confessore e padre spirituale o anche in questo sono “saltellante”? So che un confessore ignorante o in contrasto col vero Magistero della Chiesa può provocarmi il peggiore dei mali? A mia volta, curo seriamente la mia formazione (almeno a livello biblico, dogmatico ed etico) per essere a mia volta profeta fedele e competente verso i miei fratelli?
Infine, mi colpisce che non si parla di Betsabea. Io penso spesso all’immenso potere che la donna ha sul cuore dell’uomo, nel bene, e purtroppo spesso anche nel male. Appena potrò, tornerò su questo tema.