Stasera riprendo le meditazioni di Martini sul re Davide. Il titolo è semplice e significativo. Preferisco darvi poche riflessioni in ciascun giorno perché ognuno possa riflettere in modo più adeguato.
«La storia di un peccato
“Al tempo in cui i re si mettono in campagna (di guerra) Davide inviò Joab con i suoi ufficiali e con tutto Israele: essi massacrarono gli Ammoniti e misero l’assedio davanti a Rabba” (2 Sam 11, 1). Davide non si pone nemmeno il problema di andare in guerra: è pago del suo trono di re, non rischia più come una volta. Possiamo dire che è ormai sicuro di sé. Questo primo versetto serve da introduzione al racconto.
Con grande finezza psicologica, lo scrittore annota che tutto inizia da un semplice sguardo curioso: “Accadde che verso sera Davide, alzatosi dal letto e passeggiando sulla terrazza del palazzo, scorse, dalla terrazza, una donna che faceva il bagno. La donna era molto bella” (v. 2). Come mai l’ha guardata? Probabilmente perché riteneva che, essendo vecchio e ricco di esperienze, gli era permesso: una semplice curiosità che non poteva avere conseguenze per uno come lui.
Il secondo passo è un’imprudenza: “Davide fece prendere informazioni su quella donna, e gli risposero: “Ma è Betsabea, figlia di Eliam e moglie di Uria l’Hittita’” (v. 3).
Si tratta ancora di una circostanza molto piccola, e Davide non si accorge di ciò che gli sta succedendo.
Ora l’imprudenza si fa più grave: “Allora Davide inviò dei messaggeri e la fece cercare” (v. 4a).
Volendo scusarlo, possiamo pensare che si trattava di un semplice capriccio. Egli desiderava solo conoscerla, niente di più, e magari farla andare a corte per rendere dei servizi.
In realtà, nel suo cuore aveva già deciso.
Il testo incalza rapidamente: “Ella venne da lui ed egli giacque con lei che si era appena purificata dalle sue regole. Poi ritornò alla sua casa. La donna concepì e mandò a dire a Davide: Sono incinta” (vv. 4-5).
Dallo sguardo, alla donna incinta: tutto si è svolto come in un sogno.
Comincia la vera storia del peccato di Davide. Fino a qui si può parlare di debolezza, di stupidità, di vanità: si credeva forte, superiore a certe quisquiglie. Adesso si pone il problema: Che cosa fare?» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, pp. 68-69).
Davide forse è stato “vittima” dell’istinto o della noia o della superficialità? Mi chiedo come questa azione oggi, dopo tremila anni, possa essere interpretata. Secondo molti l’affetto, l’attrazione, l’istinto possono giustificare qualsiasi azione. È evidente che nella cultura attuale, l’unica infrazione, l’unico “crimine” è il cd. femminicidio o la violenza sessuale. Ma se la libertà dell’altro o dell’altra non è violata – per molti, quasi per tutti – non solo non c’è reato, ma neanche alcuna colpa morale, anche perché per i reati c’è un codice, ma nella moralità ognuno decide e valuta secondo le proprie opinioni. Ecco, io credo che dobbiamo meditare proprio su questo punto. Se nel brano del Vangelo di ieri (cfr. Gv 3,9-21) Gesù parlava di luce e di verità, Gesù e l’insegnamento della Chiesa ci danno la verità sull’amore e sulla sessualità?
Lo so che oggi qualcuno predica la misericordia senza alcun riferimento alla conversione, ma la domanda finale di Martini è centrale: “Che cosa fare?”. Su questo interrogativo vi segnalo il Manuale alle pp. 61-62.
Anche il cammino verso il peccato è indicato nel Manuale (pp. 467-473).
Infine è molto importante il comportamento dopo il peccato. Ammetto che ho sbagliato? Mi preoccupo solo del giudizio degli altri? Bado solo a che nessuno sappia niente? Temo solo eventuali conseguenze in campo civile o penale? Rinvio la Confessione per mesi o per anni? Mi rivolgo a qualche buon confessore che pensa che bisogna assolvere tutto e sempre, anche senza pentimento e proposito? Non dimentichiamo che il peccato mortale uccide chi lo commette e Gesù vuol darci la vita, la vera Vita.