Stasera in un certo senso interrompo le riflessioni sul re Davide, ma in realtà continuo a proporvi gli Esercizi predicati da Martini. Il testo che vi offro è indubbiamente lungo. Si tratta di un’omelia su un passo del Vangelo piuttosto complesso: Mt 12,46-50, che ognuno potrà leggere personalmente. Nel suo commento il Cardinale sottolinea il rapporto tra la parentela “normale” (tra genitori e figli, tra fratelli, cugini…) e un’altra parentela, quella “spirituale”, fondata nei sacramenti, nella vita ecclesiale, nei rapporti col Signore. È un tema quanto mai concreto e delicato perché, se nelle nostre famiglie spesso ci sono attriti, ma magari si superano grazie appunto ai legami di sangue, nella vita ecclesiale spesso certe rivalità e incomprensioni non vengono vinte in nome dell’autentica carità cristiana. È evidente che ognuno a questo punto deve porsi un serio esame di coscienza. Che importanza hanno per me i legami di parentela spirituale? Tra l’altro, il Vangelo di questo martedì di Quaresima (Mt 18,21-35) ci fa riflettere sul grande tema del perdono. Mi sembra giusto ricordare che anche questa omelia, come tutto il corso di Esercizi, è rivolto a religiosi, ma è applicabile ovviamente alla vita parrocchiale.
«LA VERA PARENTELA
(Omelia nel martedì della XVI settimana “per annum”)
Il brano del vangelo che è stato proclamato è al capitolo 12 di Matteo (vv. 46-50) e anche nella sua descrizione non è facile da capire.
Sembra che Gesù sia in una casa, perché si dice che la madre e i fratelli sono “di fuori”, che non possono parlargli.
Tuttavia “Gesù parlava ancora alla folla” e non riusciamo a immaginare come in un luogo chiuso ci possa essere della folla. Forse si intende, per folla, un piccolo gruppo, di poche persone. Nel brano di ieri, c’erano degli scribi e dei farisei che interrogavano il Maestro. Cerchiamo allora di vedere in questa stanza Gesù, i discepoli seduti vicini a lui, poi un po’ di scribi e di farisei e altri ancora.
Questa è la scena.
Fuori della porta, ci sono molte persone, tra cui Maria con i parenti, che si accalcano; fanno passare la voce fino a che qualcuno che è dentro sente e dice a Gesù: “Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti”. E Gesù risponde: “’Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?’ Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli: ‘Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”.
Si potrebbe capire che non voglia parlare con i suoi fratelli, ma non riusciamo a capire cosa significa che si rifiuta di parlare con la sua stessa madre.
Il passo, come sappiamo, non è isolato. Ce n’è uno più duro, che leggiamo solo nel vangelo di Marco. I parenti di Gesù (non è nominata la madre) vengono a prenderlo, avendo sentito dire che non poteva nemmeno mangiare e dicevano: “È fuori di sé” (cf Mc 3, 20-21). Si pensa che questi parenti siano gli stessi di cui scrive Matteo.
C’è un altro testo in assonanza col nostro: Gesù dodicenne viene ritrovato al tempio e Maria gli dice: “Tuo padre e io ti abbiamo cercato”. Gesù risponde: “Perché dunque mi cercavate? Non sapevate che devo essere nella casa di mio Padre?” (Lc 2, 48-49).
Nella stessa linea, vorrei ricordare l’episodio delle nozze a Cana, quando Gesù si rivolge alla Madre con queste parole: “Che ho da fare con te, donna?” (Gv 2, 4).
La risposta di Gesù non è dunque isolata e dobbiamo capire quale messaggio contiene.
1 – Un primo significato del messaggio è che i legami di parentela carnale vengono dopo quelli della parentela spirituale. È un criterio totalmente rivoluzionario in Israele, come del resto in ogni civiltà. Tutta la vita parte dalla parentela carnale che è la sorgente di ogni fraternità, e la società si basa su questo dato di fatto.
Anche i filosofi antichi, come Cicerone, riconoscevano che la carità non è altro che la diffusione verso gli altri dell’amore che si ha verso i propri cari. E questa carità è vera giustizia.
Nel mondo di Gesù, la parentela carnale era fondamentale, e da essa dipendeva la religione a partire da Abramo e attraverso tutta la discendenza.
Ora Gesù non rinnega di essere figlio di Davide, però ne spiega il significato vero: la parentela carnale resta come un punto di riferimento per una comprensione più profonda.
2 – Il secondo significato del messaggio è che la vera parentela viene dalla volontà di Dio. Questa affermazione è contenuta anche nel Corano. Ricordo che una volta venne al Biblico un maestro del Corano, e abbiamo dialogato sui nostri rispettivi Testi Sacri. Alla fine mi ha citato un versetto del Profeta che press’a poco dice così: Lo studio della Bibbia apparenta quelli che vi si applicano.
La parentela spirituale che nasce dallo studio del libro, per Gesù nasce, più profondamente, dalla volontà di Dio, del Padre.
Viene abbozzata una società fondata su legami provenienti dalla decisione dell’uomo e dalla decisione di Dio, non solo da quelli che si sono ricevuti.
3 – Ne segue che nel Regno di Dio non ci sono altri privilegi al di là della volontà del Padre.
Non ci sono privilegi di sangue, di famiglia, e questo è molto difficile da capire. Gli Ebrei ancora oggi non riescono a comprenderlo perché la discendenza per loro è discendenza carnale.
Maria però l’ha compreso e l’ha accettato.
4 – Un ultimo significato è che Gesù si presenta come il Messia definitivo disponendo intorno a sé tutti gli altri valori della vita: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”.
Il valore supremo è Dio che si comunica in Gesù e Gesù crea un nuovo ordine di valori.
Noi lo comprendiamo con la testa, ma non sempre riusciamo a viverlo. Se ci pensiamo bene, dovrebbe essere il principio della vita comunitaria; è la volontà di Dio che ci rende fratelli e sorelle nella vita religiosa. La comunità dipende dunque dalla fede, dal grado di fede con il quale ci siamo davvero consegnati alla volontà del Padre.
Per questo la comunità religiosa è la comunità di vita a partire dal vangelo, non è una realtà che va da sé. La famiglia, pur nella diversità dei temperamenti e dei caratteri di chi la compone, ha una forza quasi fisica che la tiene insieme. Nella vita religiosa, la forza è la fede e se la fede è poca, sarà difficilissimo superare le fatiche del vivere in comune.
Le difficoltà che si sperimentano nelle nostre comunità, e in ogni comunità cristiana, hanno la loro sorgente in una mancanza di dedizione totale a Gesù e allora i rapporti restano superficiali, la fraternità la si vive con la punta della volontà, non con il cuore, e non si comunica, non ci si apre, non c’è quella devozione di carità che rende tutto gioioso e facile.
Non è un problema da poco nella Chiesa.
Anche nelle missioni che ho visitato in Asia, in Africa e in America Latina, sono rimasto colpito dalle interminabili discussioni tra i missionari, tra i cristiani. Eppure si tratta di uomini e di donne che hanno lasciato tutto, che hanno compiuto un atto eroico partendo per paesi lontani e che dovrebbero quindi ritrovarsi in una fraternità profonda. Ma non è così.
Certo è un mistero, incomprensibile e però reale.
Se da una parte non dobbiamo meravigliarcene troppo, dall’altra non dobbiamo nemmeno abituarci all’idea. Perché è male, è anormale, non è giusto, ed è necessario che ogni giorno ci sforziamo di entrare nel cuore di Gesù per lasciarci cambiare il cuore, che ogni giorno lo supplichiamo di aumentare la nostra fede.
Preghiamo in questa Eucaristia per tutti gli errori che abbiamo commesso contro la carità fraterna, per tutte le volte che non abbiamo guardato i fratelli e le sorelle come veri fratelli e vere sorelle ai quali si può perdonare tutto di cuore, con gioia. Gesù è per noi fratello, sorella e madre e lo diventa nelle persone che vivono con noi, che comunicano ai nostri ideali di vita, che ci sostengono nel comune cammino.
Perdonaci, Signore, le divisioni; guarisci le nostre ferite e le nostre divisioni interiori. Donaci la pace che viene da te e che è il segno che siamo una cosa sola in te» (CARLO M. MARTINI, Davide peccatore e credente, Centro ambrosiano – Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1989, pp. 59-63).