Come al solito, anche stavolta ho letto vari commenti al brano del Vangelo di questa domenica. Siamo in qualche modo obbligati a un profondo esame di coscienza, possibilmente tenendo presente non solo questo brano, ma tutto il capitolo 23°, anzi potrebbe essere l’occasione per riflettere su tutti i punti che Gesù rimprovera ai farisei. Penso a Mt 15,1-20 e a Gv 8,1-11 e anche a tanti altri passi. Stasera mi limito a spedirvi la prima parte di un commento di padre Cantalamessa che mi è parso particolarmente profondo e anche originale. Domani conto di spedirvi la seconda parte, indubbiamente ancora più luminosa di questa prima parte.
«Al centro delle letture di questa Domenica troviamo una vera e propria requisitoria contro i sacerdoti e le guide spirituali del popolo (scribi e farisei), che in parte si applica ai capi e ai maestri religiosi di tutti i tempi. Il pensiero di Gesù, a questo riguardo, si riassume nell’invito:
“Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno” (Mt 23,3).
Lasciamo tutto ciò alla riflessione della categoria più direttamente interessata, il clero, e cerchiamo di cogliere, all’interno di questo tema generale, uno spunto che interessa indistintamente tutti e che ricorre in questo solo punto in tutti e quattro i vangeli. Gesù dice ai suoi discepoli:
“Non fatevi chiamare ‘maestri, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo”.
I titoli di Cristo sono come facce di un prisma, ognuna delle quali riflette un particolare “colore”, cioè un aspetto della sua realtà intima. Qui ci troviamo dinanzi a un titolo importantissimo. Il rapporto fondamentale che legava Gesù e i suoi seguaci durante la vita era il rapporto maestro – discepoli. Gesù era chiamato Rabbì, cioè maestro. Quando i farisei parlano di lui agli apostoli dicono: “Il vostro maestro…” (“Perché non digiuna il vostro maestro?”); quando parlano a lui dei suoi apostoli dicono: “I tuoi discepoli…” (“Perché i tuoi discepoli mangiano senza essersi lavati le mani?”). Il rapporto maestro discepolo è importante anche oggi. Presso certe categorie di professionisti (medici, giuristi) e presso gli artisti, la cosa di cui si è più fieri e che si mette in testa alle proprie referenze è il nome del maestro alla cui scuola ci si è formati. Ma questo rapporto era ancora più importante al tempo di Gesù, quando non c’erano libri e tutta la saggezza si trasmetteva per via orale, da maestro a discepolo. In questo senso, Gesù una volta dice che “un discepolo non è più grande del maestro” (Mt 10,24). Se tutto quello che uno sa, lo sa dal maestro che gli trasmette la tradizione del passato, finché rimane suo discepolo, o in quanto discepolo, non può evidentemente saperne più del maestro. Questo non toglie che il discepolo, attingendo da altre fonti o per indagine propria, possa superare il maestro (quando si tratta di un maestro umano), come tante volte avviene.
Nel mondo moderno il discepolo vive a casa sua e solo va alcune ore al giorno a scuola, in genere non presso un solo maestro, ma più maestri. Al tempo di Cristo, il discepolo andava a vivere con il maestro, imparava standogli accanto notte e giorno, osservando come viveva, rispondeva, si comportava. C’era una trasmissione di esistenza, non solo di dottrina. Anche Gesù fa lo stesso: invita i suoi futuri apostoli a “stare con lui” (Mc 3,14), prima di mandarli a predicare.
In un punto Gesù si distacca però anche da quello che avveniva al suo tempo tra maestro e discepoli. Questi si pagavano, per così dire, gli studi servendo il maestro, facendo per lui le piccole commissioni e rendendogli i servizi che un giovane può rendere a un anziano, tra cui c’era il lavargli i piedi. Con Gesù avviene il rovescio; è lui che serve i discepoli. Sentiamo cosa dice dopo aver lavato i piedi agli apostoli:
“Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13, 13-15).
Gesù non è davvero della categoria dei maestri che “dicono e non fanno”. Egli non ha detto di fare nulla ai suoi discepoli che non abbia fatto lui stesso. È l’esatto opposto dei maestri rimproverati nel brano odierno di Vangelo, i quali “legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. Non è uno di quegli indicatori stradali che indicano la direzione in cui andare, ma loro non si spostano di un centimetro. Perciò può dire con tutta verità: “Imparate da me”» (CANTALAMESSA RANIERO, Gettate le reti. Riflessioni sui Vangeli. Anno A, Piemme, Casale Monferrato, 2002, pp. 319-321).
Marcello De Maio