Anche stasera voglio presentarvi il commento del cardinale Vanhoye alle letture della s. Messa (Gen 11,1-9; Mc 8,34-9,1).«Le due letture di oggi si illuminano a vicenda. Entrambe mettono in risalto l’istinto di conservazione e l’istinto di dominio sugli altri. Si tratta di istinti naturali, che l’uomo ha in comune con gli animali e che sono profondamente radicati in lui.Oggi si parla tanto di maturazione personale, di realizzazione della propria persona, e spesso si tratta proprio di “voler salvare la propria vita”, come afferma Gesù. Questo è ciò che vogliono gli uomini di Babele, i quali dicono: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo”. Essi vogliono conquistare il cielo, e anche Dio. E aggiungono: “Facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. È la volontà di affermare se stessi. Ma il Signore non può accettare che questo avvenga, proprio perché è contrario alla vocazione dell’uomo. Volendo salvare la propria vita, l’uomo la perde; se invece vuole salvare veramente la propria vita, egli deve accettare di perderla, non deve affermare se stesso, ma rinnegare se stesso.Tutti istintivamente vogliamo affermare noi stessi; perciò non ci è facile comprendere le parole che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi. Perché, dunque, la vera affermazione dell’uomo consiste nel rinnegare se stesso? Perché la vocazione dell’uomo è di amare, e l’amore non può esistere senza il rinnegamento di se stessi. L`amore è sempre accettazione dell’altro: non è conquista, ma è umile e fiduciosa apertura all’altro.Per questo Dio non vuole che gli uomini “si facciano un nome”, né può accettare di essere conquistato. Un dio che può essere conquistato è un idolo; e se gli uomini hanno soltanto un idolo, sono perduti. Se invece si aprono a Dio nell’umiltà e con il rinnegamento di se stessi, trovano il vero amore a cui sono chiamati.Gesù ci dice: “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”; “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Egli ci ha dato l’esempio: non ha cercato di conquistare orgogliosamente il cielo, come gli uomini di Babele, ma si è abbassato, scendendo per noi dal cielo; non ha innalzato se stesso, ma si è umiliato. Come ci ricorda Paolo, “[Gesù] svuotò se stesso, […] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,7-9). In questo modo Gesù ci ha insegnato la via del rinnegare noi stessi, del perderci per amore, che è l’unica via da seguire, se vogliamo salvare la nostra vita» (VANHOYE ALBERT, Il pane quotidiano della Parola, volume II – Tempo ordinario/1, Edizioni AdP, Roma 2015, pp. 120-121).Mi sembra evidente che queste riflessioni ci aiutano a prepararci bene per le letture di domenica prossima. Se non accetto di prendere la croce, di perdere la mia vita e di seguire davvero Gesù, non potrò mai perdonare e amare chi mi fa del male, come ci esorta a fare Gesù in Lc 6,27-38.