Come ho accennato ieri, stasera voglio continuare a darvi spunti per riflettere sul Vangelo della VI domenica (Lc 6,17.20-26). Comincio col proporvi il commento di don Fabio.
«A differenza delle otto Beatitudini del discorso del monte di Matteo, in Luca le beatitudini sono quattro e vengono opposte a quattro annunci di sventura. Perché? Gesù non ha detto le cose importanti in una sola occasione, avrà sicuramente ripreso certi temi in più situazioni, e qui Gesù parla di beatitudine – argomento classico della letteratura biblica – in un altro contesto. Il luogo in cui ci troviamo dà un taglio differente: l’introduzione precisa che siamo in pianura, e dal testo successivo apprendiamo di essere alle porte di Cafarnao. La città era un importante snodo della cosiddetta “via del Mare”, strada di grande percorrenza verso il sud e verso il Mediterraneo. Un luogo di passaggio in cui c’è una grande folla e tanto umanità in transito.
Gesù viene dal monte, dove ha scelto i dodici dopo una notte di preghiera. Viene dal silenzio, dall’intimità con Dio e dal discernimento con i suoi discepoli. E ora c’è una calca che lo ascolta in mezzo alla gente che passa …
Allora Gesù dice cose del tipo “Beati voi, che ora avete fame …che ora piangete …ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione… che ora siete sazi …che ora ridete”. E batte su questo tasto: tutto si decide su come state ora, in questo preciso momento, e se ora state ben messi, guai a voi. E perché?
Si capisce ancora meglio dal versetto che segue il nostro testo, in cui Gesù dice: “Ma a voi che ascoltate, io dico …” Chi lo ascolterà? Questo è il discrimine: gli darà retta chi è povero, chi ha fame, chi sta piangendo. Un ricco ha già la sua consolazione, e questo predicatore non lo sta a sentire. Perché dovrebbe ascoltarlo?
Ecco il paradossale rovesciamento di prospettive che questo Vangelo porta con sé: la felicità di Cristo non è disponibile per chi ha la pancia piena. Chi è sazio e divertito è sbadato e appagato e non si rende conto della sua mediocrità e delle trappole che lo aspettano. Un salmo dice: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”.
Si può leggere tutto questo in prospettiva esterna, ma anche in dimensione interiore: in noi c’è una parte povera, ci sono lacrime, c’è qualcosa di incompleto e carente, e questa miseria è la porta d’ingresso del Salvatore. La preghiera entra per lo squarcio d’incompletezza che ci portiamo dentro, la percezione della nostra insufficienza è la nostra povera verità. Ma è proprio questa povertà che ci fa accogliere il Salvatore.
La Vergine Maria dice lo stesso nel Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi”.
Dal punto di vista spirituale la nostra miseria è il nostro punto di forza, lo spazio di Dio nella nostra vita. E pensare che noi odiamo le nostre povertà…
L’esperienza conferma che cercare di parlare al tronfio, al soddisfatto, al potente, che è in noi, è una battaglia persa.
Il libro dei Proverbi dice: “Prima della rovina viene l’orgoglio e prima della caduta c’è l’arroganza”» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico C, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 70-71).
Ecco cosa penso anche grazie alle riflessioni di don Fabio.
È importante saper fare tesoro delle proprie ferite, povertà e fragilità.
Dobbiamo vigilare e temere quando va tutto bene, quando siamo fin troppo sicuri di noi stessi, quando ci sembra di non aver bisogno di nessuno (né di Dio né degli altri); pensiamo alle seguenti parabole: il ricco stolto, Lazzaro ed epulone, il fariseo e il pubblicano al tempio.
Insomma guai agli autonomi, agli autosufficienti, a chi è sereno e soddisfatto, sicuro di sé, a chi ha raggiunto i propri obiettivi trascurando il prossimo e soprattutto il disegno di Dio verso di lui.
Beato invece chi sente di aver bisogno di Dio, chi si rende conto che ha peccato (cfr. Vangelo della V domenica anno C), chi è consapevole che deve progredire nella preghiera, nella carità verso Dio e i fratelli.
I guai da Gesù sono rivolti a persone come Don Rodrigo e don Abbondio.
Beato invece chi si rende conto di aver bisogno del perdono e della forza di Dio e ciò lo spinge alla preghiera, a maggiore intensità e frequenza nella vita sacramentale, a essere misericordioso verso le fragilità altrui.
Tutto sta poi a vivere bene la sofferenza, cioè senza scoraggiarsi, senza perdere la fiducia in Dio, senza invidiare chi ci sembra che sta bene, senza chiuderci nel nostro dolore: pensiamo all’obolo della vedova.