Ogni volta che leggo nei Vangeli il racconto di un miracolo non posso non confrontarmi con numerose domande. Perché Gesù fa i miracoli? Perché guarisce le persone? Perché alcuni li guarisce e altri no? Perché molto spesso impone il silenzio? Perché spesso chiede la fede prima di effettuare il miracolo mentre altre volte fa il miracolo per suscitare la fede in chi non ce l’ha? Vi consiglio di riflettere sulla chiamata di Saulo diventato san Paolo. In qualche modo le stesse domande possiamo porcele riguardo ai miracoli di Lourdes (è molto bello meditare sull’esperienza di Alexis Carrel). Non ho ovviamente la pretesa di rispondere in poche righe a tutti questi quesiti. Mi limito a qualche spunto di riflessione.
In effetti, sto continuando la riflessione iniziata ieri sui due gradi di guarigione. Nella serie televisiva statunitense “The chosen” forse l’episodio che mi ha più colpito (episodio peraltro assente nei Vangeli) è “Due a due” (terza stagione), quando sembra che Gesù si rifiuti di guarire uno degli apostoli, Giacomo il minore.
Ogni volta che penso a Lourdes, penso a santa Bernardetta che sapeva che non sarebbe stata guarita dall’acqua “miracolosa”. Pare che, a chi le chiedeva perché non tornava da Nevers a Lourdes per bagnarsi in quell’acqua, rispondeva: “Quell’acqua non è per me”.
Credo che il dono più grande sia la Sapienza col quale lo Spirito Santo ci aiuta a comprendere cosa veramente vale di più (vi segnalo Mt 6,31-33). Del resto, anche nella malattia c’è sempre il rischio di non viverla bene. Per rendere feconda la sofferenza ritengo preziosi due passi biblici: Gv 15 e Col 1,24.
Pure chi si accosta alla persona che soffre può commettere una serie di errori. Tra gli sbagli più frequenti c’è quello di non saper ascoltare chi soffre o di ritenerlo soltanto oggetto di compassione o assistenza. A me pare di aver capito che Gesù vuole che ognuno diventi protagonista della propria vita.
Anche una certa pastorale caritativa può limitarsi a dare aiuto materiale e nient’altro. Amo molto la frase “più che donare del pesce a chi ha fame, è meglio dargli un canna da pesca e insegnargli a pescare”.
Ora vi dono una preghiera che può darci luce sul nostro cammino. È un bel commento al brano del Vangelo di oggi (Mc 1,40-45).
«Signore Gesù, veniamo a te lebbrosi tra molti lebbrosi, bisognosi tra molti che hanno innanzitutto bisogno di ritrovare la volontà di guarire, la volontà di riscoprire la bontà della vita, anche se gravata da dolori e da fatiche. Soffriamo, infatti, ma non siamo forse veramente desiderosi di guarire; siamo soli, esclusi, separati dagli altri, ce ne lamentiamo, ma non vogliamo fino in fondo tornare alla responsabilità della fraterna convivenza, ai doveri di chi è sano, di chi deve servire gli altri. Signore Gesù, prostràti, noi, moltitudine di lebbrosi nello spirito e nella carne, ti preghiamo di supplire tu stesso con la tua ferma volontà di salvezza alla nostra cronica indecisione. Se tu vuoi, puoi guarirci. Sì, nonostante noi, toccaci con la tua mano e pronunzia la tua Parola: Voglio! Sii sanato! E suscita nel nostro cuore e in tutto il nostro essere la gratitudine e la gioia, il canto della vita nuova, il canto della totale salvezza. Amen» [ANNA M. CÀNOPI e COMUNITÀ DELL’ABAZIA BENEDETTINA “MATER ECCLESIAE”, ISOLA SAN GIULIO, Oratio, in GIORGIO ZEVINI – PIER GIORDANO CABRA (a cura di), Lectio divina per ogni giorno dell’anno, Queriniana, Brescia, vol. 9, p. 37].