Pensiero serale 02-11-2024

Stasera vi propongo il commento di don Fabio in occasione del ricordo dei nostri fratelli defunti. Egli si sofferma in particolare su uno dei tre brani del Vangelo proposti dalla liturgia: Gv 6,37-40.

 

«La commemorazione dei fedeli defunti non è un giorno triste e oscuro. Se lo fosse non lo si celebrerebbe assieme a Cristo, che è risorto.

Questo è un giorno di luce, perché il dolore per i nostri cari defunti è illuminato.

È dolore, è giusto che lo sia, perché ogni fratello o sorella che abbiamo perso è una perdita inestimabile, perché ogni persona è unica e bella di una sua bellezza peculiare. E, se gli volevamo bene, ci manca da morire, e ci deve mancare, perché ogni persona è importante, e senza di lei o di lui niente più può essere lo stesso. Questo è un dolore da tener caro perché è il segno dell’affetto, queste sono lacrime da far scorrere spesso, anche dopo anni. Mi manca mio fratello, non potrà che mancarmi, perché niente lo può sostituire.

Ma per noi che abbiamo conosciuto Cristo questo dolore è al confine con una luce immensa, quella che dice interiormente che la vita è nelle mani di Dio e non si perde mai. Perché il suo amore di Padre non è un amore astratto ma concreto, la sua volontà non è una legge ma, dice Gesù nel Vangelo della liturgia: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno… Questa, infatti, è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.

Ogni espressione della volontà di Dio risponde a questa verità. Ogni volta che Dio mi chiede di entrare nella sua volontà mi sta chiedendo di abbracciare qualcosa che mi porterà alla vita eterna, la sua volontà non è un codice da rispettare altrimenti si arrabbia, ma qualcosa per avere la sua vita, per avere l’eternità.

Questo Padre non si vuole perdere un singolo figlio; a Lui non gli scappa nessuno di mano.

Ma queste belle cose chi le può pensare? Chi le può credere? Chi ne ha fatto esperienza, e sa una cosa che è detta altrove nello stesso Vangelo secondo Giovanni: “Chi ascolta la mia parole e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24).

Vale a dire: se io ho accolto Cristo e l’ho lasciato parlare, e ho iniziato a credere al Padre che lo ha mandato, la mia vita non è una corsa verso il nulla, ma verso la vita, e non vado verso un giudice ma verso il Signore che mi ha amato. Da quando sono nato sto correndo per arrivare un giorno a saltare tra le braccia del Padre. E tutto si illumina e ha una direzione, un traguardo che già conosco per esperienza.

Ogni volta, infatti, che mi sono abbandonato a Lui, non sono rimasto deluso, ma la mia vita è cresciuta, è diventata più profonda e bella. E mi sembrava invece di morire… allora so come sarà la morte.

Che problema abbiamo quindi? Non quello di sopportare stoicamente il dolore, e di riunirci per un doveroso atto di commemorazione umana dei defunti, ma quello di avere una relazione con Cristo in questo dolore, e di lasciare che questo giorno ci ricordi la volontà del Padre, che è vita eterna» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 194-195).

 

Voglio precisare che dobbiamo attentamente vigilare dal momento che è evidente oggi la tendenza ad accentuare la fede a scapito della morale. Vi segnalo un passo molto denso e importante, forse non molto conosciuto, della bellissima enciclica “Veritatis splendor” dedicata da san Giovanni Paolo II ai fondamenti della morale.

 

«Ci si chiede: i comandamenti di Dio, che sono scritti nel cuore dell’uomo e fanno parte dell’Alleanza, hanno davvero la capacità di illuminare le scelte quotidiane delle singole persone e delle società intere? È possibile obbedire a Dio e quindi amare Dio e il prossimo, senza rispettare in tutte le circostanze questi comandamenti? È anche diffusa l’opinione che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l’appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell’ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali» (S. GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, 4).

 

Ritengo importante anche sottolineare che vedo sempre più diffusa la tendenza in vasti settori della Chiesa a omettere la verità di fede secondo cui tutti al momento della morte saremo sottoposti a un giudizio ben preciso. Certamente Gesù desidera che crediamo in Lui, ma non dimentichiamo che alla fine il giudizio verterà sulle opere, quindi sulla morale.

Chi ha qualche dubbio in merito farà bene a meditare Mt 25,31-46; Lc 16,19-31 e il Catechismo della Chiesa Cattolica §§ 1038-1041. So che oggi si vuole sottolineare la misericordia, ma ciò non ci esime dal ricordare l’urgenza della conversione. Io medito spesso sui messaggi donatici dalla Vergine a Lourdes e a Fatima.