Vi invito a riflettere ancora sul brano del Vangelo di ieri (Mc 9,30-37) e perciò vi spedisco il commento di don Fabio.
«“Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”.
In genere siamo colpiti dalla prima parte di queste parole, quella tragica, e lasciamo andar via l’annuncio della risurrezione. Ma in un viaggio quel che conta è la destinazione, non il tragitto di per sé. Un percorso – non importa quanto interessante o comodo sia – che finisce nel disastro o nella morte, è un viaggio sbagliato. Invece la via buona è quella che porta alla vita, e può implicare dolore e austerità. La strategia di Dio conduce attraverso la realtà, talvolta anche molto amara, alla vita piena. Come il parto, che in sé è doloroso, ma è l’inizio della vita.
I discepoli, non comprendendo l’esito, non accettano il tragitto che Cristo prospetta. Infatti, negli annunci di Gesù del suo percorso verso la risurrezione c’è regolare reazione di estraneità e rifiuto.
Nel nostro caso troviamo un tipo ben preciso di incomprensione da parte dei discepoli: mentre Gesù aveva parlato loro della sua umiliazione in obbedienza al Padre, della sua sofferenza che conduce alla vita, loro si erano messi a discutere su chi di loro fosse il migliore. È uno scontro tra due visioni estranee.
La mentalità umana è, per l’appunto, umana, e quindi fragile e minacciata dal nulla; patisce per natura la paura della sofferenza e del vuoto. Questo terrore primordiale impone di vivere difendendo la propria incolumità e cercando di assicurare la propria identità. Questo porta all’orrore di essere secondari e la discussione tra i discepoli su chi sia il più grande nasce da questa mentalità. Il desiderio di vincere, di essere il primo, di essere il più grande, è lo sforzo di esorcizzare la miseria del nostro essere.
Se non guardo a Dio e non mi abbandono al suo amore, allora devo trovare altrove il mio spessore, creando classificazioni in cui mi dimostro, in un modo o nell’altro, al di sopra di qualcun altro. E così gareggio, o sparlo dei rivali, o mi ossessiono sui miei risultati.
Questo di certo non porta alla vita vera.
Cristo non ha bisogno di queste strategie perché la sua esistenza è radicata nel Padre che è la vita. Il suo segreto è sapere che la vita viene dal Padre e a Lui ritorna. Gesù dice: “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini”, ma sa che non è soggetto in modo permanente alle mani degli uomini, ma a quelle di Dio. Gli uomini potrebbero ucciderlo, ma il Padre lo restituirà di nuovo alla vita.
Dobbiamo lasciarci inondare da questa luce. Il Padre non ci abbandona, e il sentiero della vita non è quello dell’ossessione del vuoto, ma un percorso in cui il vuoto diventa il luogo dell’abbandono alla Provvidenza.
Consegniamoci a Dio nelle cose che ci causano angoscia, riconoscendo che le pulsioni della rivalità e dell’autoaffermazione sono scorciatoie che non conducono da nessuna parte.
Si tratta di vivere come bimbi nelle braccia del papà come “il Figlio unigenito che è sul petto del Padre”» (Gv 1,18)» (ROSINI FABIO, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’anno liturgico B, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 173-175).
Mi colpisce il riferimento di don Fabio alla “pulsione dell’autoaffermazione”. Sappiamo com’è difficile trovare lavoro. Se studio, se partecipo a un concorso, se cerco di inserirmi nell’università per un cammino post-laurea, devo cercare di essere l’ultimo? Utilizzare al massimo i talenti non ce l’ha chiesto il Signore (cfr. Mt 25,14-30)? Allora perché Gesù mi invita a essere l’ultimo di tutti (cfr. Mc 9,35)?